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Nov
08

Finestra sulla realtà degli altri n°18

Ogni tanto mi spiace di non essere in grado di gestire una comunicazione “seria” e “professionale”.
Mi spiace perché spesso questo va a detrimento di alcune tecniche e tecnologie sostenibili che meriterebbero di ottenere maggior risalto ed una cura più, appunto, professionale…
Tra queste tecnologie c’è quella dell’utilizzo del Vetiver.
Ne ho già parlato e Marco è in grado di dare qualsiasi ulteriore ed approfondita informazione, altrimenti potete dare un’occhiata al sito The Vetiver Network International

Quello che trovo assurdo è che questo tipo di tecnologia (a basso costo, utile per la bonifica di terreni inquinati, ottima come produzione di biomassa, eccezionale come impiego in progettazioni in permacultura, una tecnologia agraria ascrivibile tra quelle “riabilitative”) possa essere vincolata da un monopolio commerciale.
(Marco mi correggerà, ma dalle informazioni in mio possesso, al momento, in Italia, non si possono ottenere piante di Chrysopogon zizanioides senza passare attraverso monolitiche aziende commerciali e senza affrontare alti costi di impianto)

E’ per questo che ripubblico integralmente il “Codice Etico” di Marco.
Perché, come ci raccontavamo in un recente scambio di mail, una “rivoluzione” non si riduca ad essere “resistenza”.
L’open source non si limita a Linux.

CODICE ETICO

Con questo documento intendo chiarire gli intenti che
animano il progetto insito nell’opera svolta da
Vetiver Sardegna.
Negli ultimi 20 anni la tecnologia legata all’uso di siepi
vegetative di vetiver è stata usata da pochi a scopo di
lucro, questi hanno preservato per se sia il materiale
di propagazione, sia la conoscenza della stessa tecnologia
in vari modi.

L’operato di Vetiver Sardegna, al contrario è volto alla
massima diffusione possibile della tecnologia, tramite
mezzi di comunicazione (web), con il fine dichiarato di
rendere palese la grande semplicità di utilizzazione per
chiunque ne abbia necessità e la produzione di materiale
di propagazioneal costo più basso possibile, al fine di
curare il territorio in maniera definitiva e prevenire
possibili disastri in danno delle persone.

La ricerca condotta da Vetiver Sardegna, finora senza
alcun aiuto economico, si propone di migliorare
costantemente e progressivamente rendere più accessibile
l’uso della tecnologia stessa ai privati sui loro terreni e agli
enti pubblici tramite l’utilizzo di manodopera locale,
questo per generare anche una ricaduta sociale dalla sua
applicazione.

Questa logica esula dal mero profitto, pur necessario, ma
riconduce ogni risparmio sulla produzione e sull’impianto,
non già nella tasca dell’azienda, ma in quella dell’utente
finale per una maggiore diffusione della tecnologia ad ogni
livello nel paese.

L’opera di Vetiver Sardegna si ispira ad un modello “Open Source”
dettato dalla consapevolezza dei molteplici benefici che il
territorio riceve e della quantità di vite umane e danni
materiali che possono essere risparmiati grazie alla corretta
applicazione della tecnologia VGT.

La realizzazione dell’economia di scala è il mezzo tramite cui,
in futuro, risulterà impossibile ed antieconomico un nuovo
sequestro di questa tecnologia per fini privatistici.

MARCO FORTI


19 Risposte to “Finestra sulla realtà degli altri n°18”


  1. novembre 8, 2008 alle 12:44 PM

    Casualmente questa mattina ho ricevuto una mail del presidente del vetiver network international con cui dialoghiamo spesso attraverso i 5 continenti; ha chiesto a tutti un sunto in cinque punti sul perché questa utilissima tecnologia stenti ad affermarsi.
    Io ho detto la mia per quel che mi è dato vedere e di li a poco ho ricevuto le risposte anche di tutti gli altri 40 circa componenti in questo frangente presenti on-line.
    Non ci crederete, ma tutti, fra i cinque punti elencati, hanno menzionato il fatto che dato il rapporto basso costo-alta efficacia, chi decide e governa il territorio, è di fatto escluso da un illecito ritorno economico e quindi tende a favorire altre soluzioni, in primis il cemento armato.
    Questa è una aberrazione verso cui ci si deve ribellare, non perché a me interessi vendere piante, ma perché il processo decisionale sul territorio DEVE tornare a quelle persone che sul territorio vivono e che ne dipendono per alimentazione e salvaguardia della vita, dai disastri naturali (ma non tanto) che in questo territorio si possono generare.
    Già nove anni fa, all’indomani del primo disastro a Capoterra (CA), dove morirono due persone, scrissi al sindaco della tecnologia legata al vetiver per la sicurezza del territorio, nove anni dopo non avevano ancora ripulito i canali di sgrondo dalle lavatrici e dalle carcasse di automobili.
    Ora, sarà forse il tempo di creare movimenti d’opinione che obblighino i decisori a decisioni opportune?
    Parliamone!

  2. novembre 8, 2008 alle 2:25 PM

    Una ola per Marco! (rumore di applausi e vociare concitato nella stanza!)
    Sulla Sardegna ci avevo pensato anch’io dopo i danni delle ultime tempeste…
    Passo la palla ai lettori Sardi… (lo so che ci siete… almeno 2 o 3)

  3. novembre 9, 2008 alle 1:07 PM

    Qualunquemente e infattamente ‘n tu culu al cemento! Sono d’accordo al 100%!

  4. novembre 9, 2008 alle 7:33 PM

    Nicola, permetti un consiglio?
    (di comunicazione, eh? 😉

    Potresti lasciare “Finestra sulla realtà degli altri” ed espressioni equivalenti solo come categorie, mentre i titoli dei post potrebbero essere più “parlanti” dell’argomento trattato.

    Viene meglio anche per tutte le citazioni e link “web 2.0”, tipo i feed e le citazioni da google reader.

    Ciao

  5. novembre 9, 2008 alle 9:05 PM

    …è uno snobbismo un po’ fastidioso vero?… incomincio ad accorgermene anch’io e mi crea alcuni problemi quando devo cercare cose vecchie… cercherò una soluzione che non sacrifichi troppo il mio gusto perverso per una catalogazione criptica!

  6. novembre 10, 2008 alle 10:27 am

    Per l’indicizzazione vedi tu. Ma quando si tratta di ricercare un vecchio post qui dentro senza potersi rifare ad un titolo -come m’è successo- eh, può essere un problema. Almeno un motorino di ricerca interno?
    Dal mio punto di vista: non un problema di comunicazione, ma di “banale” information retrieval.

    Oh, a proposito, buon lunedì 🙂

  7. 7 Salvatore
    novembre 10, 2008 alle 10:55 am

    Marco dice: “dato il rapporto basso costo-alta efficacia, chi decide e governa il territorio, è di fatto escluso da un illecito ritorno economico e quindi tende a favorire altre soluzioni, in primis il cemento armato”.
    Verissimissimo.
    Molto dipende anche dal disinteresse delle persone che nel territorio vivono. Sembra una cosa assurda non occuparsi della propria sicurezza ma è quello che succede. Io stesso ho aspettato che si verificasse questo sfracello per rendermi conto della precarietà in cui si trova la zona in cui vivo (la mia casa è vicinissima alla zona alluvionata). Il fatto che non abbia dato il mio voto alle amministrazioni responsabili di concessioni edilizie assurde e che hanno fatto poco o nulla per la manutenzione dei canali, non basta. Per evitare queste situazioni non basta dare delega alla parte politica “meno peggio”. Bisognerebbe essere presenti e attivi sempre, non solo al momento del voto. Ma la realtà quotidiana è tutto l’opposto, non c’è volontà, non c’è iniziativa. Non dico questo per criticare i miei concittadini, lo dico perché queste pecche le trovo anche in me stesso. Alla fine tutto si riduce al solito tramtram lavoro-casa-casa-lavoro. Sempre ché la casa continui a esserci!!

    Oggi sono un depresso, è evidente? 🙂 beh… è lunedì.

  8. 8 sb
    novembre 10, 2008 alle 5:50 PM

    visto l’egoismo rampante di ogni individo, finchè non saranno in tanti a patire veramente per il mondo che ci circonda, non si muoverà nulla. e poi del resto questi decisori l’unica cosa che li smuove è la paura e per fargl paura bisognerebbe essere più fetenti di loro oppure parecchio incazzati, ma visto l’egoismo ecc. non saremo mai abbastanza
    ciau sb

  9. novembre 10, 2008 alle 5:58 PM

    @ Salvatore – lucida analisi! Sapevo di poter contare su una risposta dalla sardegna. Ed il dilemma casa-lavoro-casa finchè c’è la casa è obbiettivamente difficile da risolvere… io l’ho fatto rimanendo disoccupato (all’inizio fa male e ti prendono per pazzo ma dopo un po’…).
    Sul discorso della delega (responsabile o meno che sia) sono convinto che sia stata, nel tempo sopravvalutata. Se ci si pensa deleghiamo quasi tutti i bisogni fondamentali: cibo, tetto, relazioni sociali… si dovrebbe “riportare a casa” qualcuna di queste deleghe.
    E poi c’è il problema dell’informazione dell’accessibilità ad un’infoprmazione “utile” per recuperare competenze che permettano di riappropiarsi delle responsabilità stesse…

    @Equipaje e weissbach – ci sto lavorando… in maniera demenziale ma risolverò il problema 😉
    intanto c’è il motore di ricerca interno (in alto sulla colonna a dx sopra il monster spaghetti)

  10. novembre 10, 2008 alle 8:03 PM

    Tutto vero Salvatore Pari meu, in verità però non credo che si tratti di questione politica, ma di comitato di base, in questo gli esempi non mancano: il discorso dovrebbe essere così articolato: chissenefrega di chi sei, ma visto che ci sei, le nostre priorità sono queste: chiamiamoli comitati di base, di quartiere o di Bidda, come vuoi. Ciò che deve cambiare al più presto è l’ottica in cui lavoriamo: basta pensare al politico come signore, il politico in altri paesi è chiamato “public servant”: servitore pubblico, e questo è: ti si paga noi, e queste sono le nostre priorità.
    Adesso per esempio, chi risponde della diga del laghetto di poggio dei pini a Capoterra? E’ sicura? Non dovrebbe essere difficile prendere per un orecchio il politico locale e fargli due domande.
    Vogliamo organizzare cento cittadini che vadano al comune a fare questa domanda? eccoti il comitato di bidda!
    Organizemusi!

  11. 11 alem
    novembre 11, 2008 alle 4:29 PM

    A capoterra forse stavolta i danni sono stati abbastanza gravi da interrompere il ciclo casa-lavoro…lo vedremo nei prossimi mesi…si stanno organizzando vari comitati spontanei formati da tecnici per capire come evitare ulteriori disastri.

    per chi vuole approfondire gli effetti dell’alluvione nelle montagne di capoterra qui trova un bel post scritto da una geologa residente li’, in cui viene descritta la naturalità ed anche la bellezza di tali eventi (a parte i danni a cose e persone):
    http://poggiodeipini.blogspot.com/2008/10/analfabetismo-geologico.html

    Per Marco, secondo te il vetiver puo’ dare un contributo in situazioni cosi’ straordinarie da 370mm di pioggia in 3 ore? Io ho visto sparire un pezzo di montagna (parte del mio terreno) portato via dall’acqua, alberi quasi secolari trascinati via e ora mi chiedo se con il vetiver si possa almeno consolidare il canyon/scarpata(il letto del torrente è 10 volte più largo) che il fiume ha creato.

    ale

  12. novembre 11, 2008 alle 6:52 PM

    Ale, grazie per il link, l’articolo è veramente molto bello ed interessante.
    Effettivamente anche quando qui in piemonte ci furono le alluvioni “pesanti” non erano eventi “inattesi”… anni ed anni di edilizia e sviluppo del territorio “ignoranti” avevano portato a quelle situazioni. Tu pensa che io vivo in un Mulino costruito a fine 700 proprio nella zona in cui abitualmente la Dora Baltea si faceva (e si fa) un giro per sgranchirsi le spire… quindi come vedi il problema ha radici molto lontane e non credo che si possano trovare soluzioni immediate e, tanto meno, colpe e responsabilità immediate (se non su questioni specifiche, l’esempio del Vajont per quanto drammatico è stata una questione specifica)… Ovvio che questo non esclude la possibilità di studiare, applicare e sperimentare soluzioni alternative che possano limitare od evitare danni naturali (nel senso di inseriti in un ciclo naturale delle cose).
    Quando ho sentito delle pioggie battenti in sardegna (danni a cose e persone a parte, e mi scusino per questo) il primo pensiero è stato, comunque, per i quintali di terra che stavano finendo in mare… un’altro tipo di gestione del territorio forse, sul lungo periodo potrebbe evitare almeno quei danni…
    Non credo quindi che il vetiver avrebbe potuto frenare quella mole d’acqua e fango… ma, come detto anche nel post da te segnalato, una gestione più cosciente del territorio sicuramente sì.
    Saluti!

  13. 13 alem
    novembre 12, 2008 alle 12:25 am

    Nicola, lungi da me voler risolvere tutto con il vetiver…però mi interessava capire che tipologia di interventi si possono fare, immagino si tratti di sistemazioni degli alvei secondo l’ingegneria naturalistica. Poi per il vetiver un criticità che mi viene in mente è l’attuale tendenza ad usare specie autoctone per riforestazioni ecc. Per come la vedo io è un aspetto secondario e poi cmq sempre mille volte meglio il vetiver che il cemento a go-go…ma vallo a dire ai politici

  14. novembre 12, 2008 alle 9:06 am

    Scusa Ale, speravo che comparisse Marco per le specifiche sul vetiver 🙂
    Gli interventi in cui il vetiver può trovare una sua funzione sono tantissimi (può essere a tutti gli effetti uno strumento multifunzionale all’interno di una progettazione agraria o del territorio)dal consolidamento di una sponda franosa, al mantenimento delle falde…
    Sul fatto che non sia autoctona non dovrebbe essere un problema… il vetiver in oggetto non è quello naturale ma un’ibrido sterile riproducibile esclusivamente per intervento umano (nulla a che vedere con gli eucaliptus 😉 ).
    Tra parentesi: mentre mi facevo prendere dalla discussione ho trovato un sito interessante con un sacco di tecnologie agrarie tradizionali a basso impatto e basso costo (prevalentemente africane e nord africane… ma con il riscaldamento globale tra un po’…) è questo qui:
    http://www.iwmi.cgiar.org/Africa/West/projects/Adoption%20Technology/Technology_Adoption.htm
    C’è anche un sistema di coltivazione per gli ulivi che sarebbe un toccasana quantomeno per quelli di una mia amica nei pressi di Muravera… se poi a quella si aggiungesse il vetiver avrebbe buone probabilita di ridurre drasticamente la necessità di irrigazione oltre a poter ripristinare un terreno drammaticamente instabile ed impoverito…

  15. 15 alem
    novembre 12, 2008 alle 12:00 PM

    Ciao, grazie per le indicazioni, per il vetiver mi sono fatto un bel giro su http://www.vetiver.org e ci sono molte immagini di sistemazione di alvei fluviali e canali che fanno al caso mio. Ma a livello di necessità idriche il vetiver come sta messo? Potrebbe reggere 5-6 mesi di siccità come sta succedendo da qualche anno in sud sardegna? o semplicemente si secca la parte aerea in estate ma le radici rimangono belle salde a tenere il terreno, per poi ricrescere in autunno?

    Non riesco a trovare le info che dicevi sugli ulivi, puoi girarmi il link diretto?

    grazie
    ale

  16. novembre 12, 2008 alle 1:15 PM

    Credo che possa tranquillamente reggere lunghi periodi di siccità (ma per maggiori informazioni conviene chiedere direttamente a Marco http://diariodellacoltivazione.blogspot.com/ o http://www.vetiversardegna.it/) e poi rivegetare… da quello che mi diceva Marco, inoltre, funziona anche come barriera tagliafuoco, nel senso che brucia in un secondo creando un gap di ossigeno improvviso e lasciando il terreno completamente scoperto in un tempo brevissimo, passato il pericolo rivegeta tranquillamente (capirai… con un fascio di radici che raggiunge i 5m di profondità!)
    Il link diretto è questo : http://www.iwmi.cgiar.org/Africa/West/projects/Adoption%20Technology/Soil&WaterConservation/30-Meskat.htm
    Puoi trovare altre informazioni googleando “meskat olive”
    Saluti!

    (e grazie a te… i confronti sulle pratiche sono sempre quelli più appassionanti… ho un post in canna da giorni ma l’ho abbandonato per seguire questo 🙂 )

  17. novembre 19, 2008 alle 10:52 PM

    SCUSATE IL RITARDO!
    Accidenti mi sono perso una discussione da coampionato del mondo, nel frattempo (ma vi prego non ditelo a nessuno) sono stato nominato direttore del Vetiver Italia Network ed ho iniziato le pratiche per costituire la relativa ONLUS e cominciare a lavorare sul sito ufficiale che dovrà rendere conto delle attività.
    Entriamo nel merito:
    Caro Ale i 370mm di pioggia battente in tre ore non sono gestibili da barriere fisiche che ostacolino lo scorrimento delle acque, nè è pensabile che non esistano insediamenti sul corso di una piena centenaria o cinquecentenaria, altrimenti non esisterebbe nessuna città che nasce sul corso di un fiume, vedi Roma, Parigi,Torino eccetera.
    Ciò che deve essere intercettato non è lo scorrimento delle acque quando queste si sono raccolte nel percorso di scarico verso valle, ma le piogge che scendono in tutto il bacino idrografico (catchment), quantomeno in punti chiave disseminati sui fianchi delle colline circostanti una piana.
    Sembra un compito esagerato, ma in realtà non lo è sul serio; pensa alle barriere tagliafuoco; pensa ai rompitratto che distribuiscono lo sforzo lungo le travi portanti, il principio è uguale: l’acqua va infiltrata dove cade, non si deve (dovrebbe) MAI lasciare che sia libera di far partire il primo masso (Villagrande Strisaili) o la prima macchina lungo la strada (Genova)perchè poi succede ciò che sai. Volando sul Limbara (Gallura) o sull’ Amiata o altri rilievi, noti le barriere tagliafuoco perchè sono sfregi, nel caso di barriere vegetative non le noteresti neppure perchè sono semplici piante.
    La questione della non aautoctonicità (wow) del vetiver è una finta questione puramente politica per rivendicare una purezza ambientale di qualche tipo ma è figlia della schizofrenia tipica di questi anni: NON si può permettere che nei giardini di ogni bidda (paesello) così come a Porto rotondo si facciano giardini con, per esempio ,la Cortaderia Selloviana (nota come Pampas Grass) che emette miliardi di semi e te la ritrovi anche nelle vergogne, oppure il bambù, e poi si fanno storie per una pianta per applicazioni bio-ingegneristiche potenzialmente salvavita….non è credibile, non è giusto!
    Sorry Nico, mi sto dilungando alla grande ma devo recuperare il tempo perduto.
    La varietà STERILE, provatamente sterile, di vetiver che coltivo, non ha MAI emesso un singolo stelo fiorifero (non fiore..) ed è stata selezionata naturalmente fra tante altre varietà a bassa o nulla fiorescenza ed altre a bassa o nulla germinabilità del seme.
    Le ho sotto osservazione da 12 anni e se ne vedessi una che emette un fiore (mai successo), un solo fiore, quella pianta finirebbe sul fuoco in un amen.

    Necessità idriche:
    ricordate il 2003? la bolla africana estiva? punte di 35-38 gradi per tre mesi filati?
    le piante non sono mai neanche ingiallite, infatti non è noto un limite superiore di temperatura, forse perchè semplicemente non ce l’ha, almeno per temperature vivibili dall’uomo.
    Distinguiamo due modalità di impianto: invernale ed estiva:
    se sistemo le piante nel periodo compreso fra Novembre e Febbraio, quando il terreno è permanentemente umido,le radici si svilupperanno anche se la parte aerea sembrerà morta (color paglia), quando il terreno poi diventa ferro intorno all’inizio di Luglio, le radici sono già sotto i 50cm di profondità ed avranno tutta l’umidità necessaria per prosperare in automatico senza sosta fino a Dicembre.
    Se sono costretto a sistemarle in primavera/estate, devo irrigare almeno una-due volte la settimana (in base all’umidità contenuta nel terreno)fino al periodo piovoso da settembre in poi, ma poi più nulla. Tutte queste esperienze sono ben descritte nel diario della coltivazione sotto l’etichetta “coltivazione” con tempi, dettagli, regimi irrigui ecc.

    Perdonami Nico di nuovo per la logorrea esagerata.
    un abbraccio.

  18. 18 alem
    novembre 24, 2008 alle 10:52 PM

    Ciao Marco,
    grazie per le risposte, sono d’accordo con te per quanto riguarda le cavolate “autoctone”.
    Ho letto anche che l’ombreggiamento puo’ essere un problema per il vetiver, forse l’unico da quello che ho visto finora. E’ davvero un fattore condizionante?

    grazie ancora
    Ale

  19. novembre 25, 2008 alle 8:05 am

    Si, l’ombra può essere un problema, ma deve essere davvero radicale, la classica mezzombra non è affatto un pensiero. In effetti è giusto, è una pianta pioniera, immagina un ambiente da colonizzare per primo, io lo vedo tipo Marte..
    Non sempre però la sensibilità all’ombreggiamento è uno svantaggio, infatti una tecnica consolidata è la staffetta ecologica:
    In mezzo alle siepi si sistemano piante (in genere arboree) di altra natura, queste ultime vegetano
    al sicuro per un numero di anni, quando la chioma comincia ad essere decentemente grande, comincia a far recedere le piante di vetiver. Questo indica che comunque il processo è lento e quasi impercettibile, ma da la possibilità di reintrodurre essenze autoctone su terreni difficili o senza terra (vedi cave estinte).
    Un’altro limite è la temperatura: fino a -13 siamo sicuri, poi si hanno problemi ma d’altronde a -13 avremmo problemi un po’ tutti.


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