Posts Tagged ‘alan smith

21
Dic
08

Batterio rosso la trionferà

Immagine:
Una scacchiera composta da tasselli regolari disposti secondo una logica infallibile.
Marrone fango, verde germoglio di grano, giallastro stoppia.
Qua e là svettano eburnee colonne di pioppi. La scorza riflette schegge di luce, sembrano quasi ricoperte di un qualche prezioso metallo polverizzato.
Stiamo solo aspettando le piume e le paillettes e poi… Holiday on Ice!!!

Dopo tre giorni consecutivi di pioggia battente è tornato il sereno, di conseguenza, le gelate.
Sto cercando di insegnare alle galline il grand jeté sui pattini a lama.
Nei tempi morti leggo.
E leggendo roba noiosissima ci scavo dentro finchè non trovo la traccia per un film.
n
Russia, sul finire degli anni ’50.
La guerra e finita con un paio di funghi piantati su altrettante città dell’estremo oriente.
Stalin non c’è più, i paesi sotto l’egemonia sovietica si fanno irrequieti.
La corsa allo sviluppo di armi e tecnologia tra la potenza americana e quella sovietica si sta facendo incalzante, da li a poco i russi spareranno Gagarin tra le stelle. Togliatti si stampa con la macchina in Val D’Aosta e Audrey Hepburn si prepara d una carriera da icona con “Vacanze Romane”.

La Guerra Fredda porta una novità fondamentale nello scenario mondiale.
Quando le guerre di “vecchio stampo” finivano, l’intera forza lavoro dislocata per l’impegno bellico (soldati, operai delle fabbriche di munizioni e mezzi, infermiere, dottori, impiegati, burocrati ecc…) veniva ricollocata nel “mercato” civile. Le fabbriche venivano riconvertite alla costruzione di motociclette e lavatrici, la gente tornava alle campagne… adesso è tutta un’altra storia… una parte del apparato bellico deve rimanere comunque attivo.

Agli americani va un po’ meglio, loro sono già una nazione profondamente industrializzata tanto da poter permettere alla Tedesca Bayern di convertire la produzione di veleni per le camere a gas e buttarsi sul mercato della chimica agricola (che ha tempi più lunghi dello zyklon B ma altrettanto efficace, in più evita di dover sovvenzionare un mastodontico reparto Pubbliche Relazioni per salvarsi la faccia). La IBM, che fino a qualche anno prima, aveva fornito tecnologia e assistenza per la gestione dei sofisticati database dei nazisti, si riconvertirà piazzando un pc in ogni casa trent’anni dopo per essere poi fagocitata da un nerd con l’hobby di adottare bambini e violare le leggi sull’antitrust.

In Russia è un po’ più complesso. Sono ancora un po’ grezzi; sebbene l’industria e la ricerca abbiano fatto passi da gigante forzando le tappe, il paese è ancora principalmente legato all’attività agricola. Il Komitern prepara il piano quinquennale: “Compagni, non ci stiamo dentro” (sono convinto che in segreto i gerarchi sovietici si salutassero con un biascicato “Oh, bellalì…”).
Appare chiaro che con metà della forza lavoro impiegata a studiare missili, sonde, aerei invisibili e a sparare cani nello spazio non sarebbe mai stato possibile convertire completamente l’agricoltura alla chimica. Semplicemente non sarebbero riusciti a produrne a sufficienza.
Vari ricercatori e scienziati, ma non troppi che c’è pur sempre un Nixon all’orizzonte, vengono messi all’opera per trovare una soluzione che dia da mangiare a tutti senza sottrarre risorse alla sforzo delle Guerra Fredda. N. A. Krasil’nikov (di cui non so assolutamente nulla, anzi, se qualcuno riesce a trovare delle notizie a riguardo…) dell’Istituto di Microbiologia Dell’Accademia delle Scienze se ne esce con un approfondito studio sui micorganismi del suolo e la loro influenza sullo sviluppo delle piante.
Lo studio è accurato ed approfondito e dimostra in maniera scientificamente analitica il collegamento diretto tra l’attività microbica del suolo e la sua fertilità.

Krasil’nikov, concentrando la sua attenzione sui processi biologici crea un “sistema” di agricoltura basato su un’attenta rotazione dei coltivi, speciali metodologie di compostaggio e coltivazioni batteriche alla portata di qualsiasi compagno-contadino. Un’agricoltura “primitiva” ma basata su un’approfondita comprensione dei processi microbiologici del suolo, delle relazioni tra i diversi microrganismi, del come le diverse piante interagiscano tramite persistenti essudati radicali e come le stesse piante interagiscano con i batteri nel suolo. (Oh! Ma questa l’ho già sentita… da li a qualche anno un giapponesino dirà delle cose del genere…) .

1961
Gagarin torna a terra. John F. Kennedy stringe la mano a Nikita Krusciov. I Beatles suonano ancora al Cavern Club di Liverpool. Nelle sale esce Jules et Jim di Truffaut e i russi stanno preparando una nave che l’anno dopo salperà verso Cuba con un carico di testate nucleari.
Di Krasil’nikov non è dato saper più nulla (o quanto meno… non ho trovato nulla…).
Fatto sta che le sue ricerce seguono uno strano percorso.
In quell’anno vengono infatti pubblicate per conto del National Science Foundation di Washington, D.C. e del Dipartimento per l’Agricoltura degli Stati Uniti. Uno scambio di “facciata” per dare l’idea del disgelo? Potrebbe essere. Ma perché coinvolgere gli Israeliani? Il testo viene infatti tradotto dal Programma per le Traduzioni Scientifiche di Israele. E perché se cerco delle informazioni non trovo un fico secco?

Frustrazione.

Dietrologia demenziale a parte… qui si sta delineando un trend.
Come già nel caso delle ricerche di Alan Smith, uno studio accurato e preciso cade nel dimenticatoio… forse parlare di agricoltura sostenibile senza venir “cancellati dalle mappe” si deve per forza fare della “filosofia” o farsi crescere i capelli lunghi e fare il segno della pace a tutti quelli che passano…
Boh!?
Intanto io sono riuscito a saltare un altro po’ di lavori che dovevo fare…

03
Lug
08

diario di campagna n°117

Il Ciclo Ossigeno-Etilene spiegato a Dashiell Hammett

Disclaimer:

Tutto ciò che verrà espresso in questo post è una drammatizzazione di eventi pescati qua e là in maniera casule, non vi aspettate link a fonti certe e comprovabili.
I dati scientifici sono nebulosi e quelli temporali, peggio. Potrei essermi inventato tutto.
A meno che voi non abbiate voglia di andare a sfogliare gli archivi storici delle mailing list nascosti tra le pieghe di http://www.ibiblio.org/ecolandtech/. Se decideste di farlo, attenti a non perdervi.
Il post sarà drammaticamente lungo. Potete scaricarne una versione PDF per leggerlo con calma o st[r]am[p]parlo.

Sono tornato dall’orto da qualche ora. Il sole e l’umidità rendono impossibile il rimanere a lungo all’aperto.
Nella penombra del soggiorno anche le mosche ed i gatti hanno rinunciato ad ogni attività in attesa che la morsa si allenti.
Sto contrattando via mail con un amico uno scambio merce: lui mi ospita gratuitamente ad un seminario di una settimana sui “sistemi di vita sostenibili” ed io gli curo la parte di formazione sulle basi scientifiche dell’agricoltura naturale. La sua richiesta è un approfondimento sul ciclo ossigeno-etilene. E’ uno che ci va giù pesante.

Due cubetti di ghiaccio si sciolgono velocemente nel bicchiere colmo di caffè, non fanno neanche in tempo a tintinnare. Mi arrotolo una sigaretta.
Come al solito non ho una lira in tasca e la carta di credito, su consiglio della banca, è stata trasformata in una spatola da stucco. Questo esclude la possibilità di accedere agli archivi web di “Nature” e quindi alla strada semplice, sempre che fosse quella semplice.

E’ un po’ che giro intorno all’argomento ma senza mai esserne venuto veramente a capo. Sembra sempre troppo semplice o troppo complesso.
Ogni ricerca rimanda sempre a due o tre informatori che in realtà riportano dei “sentito dire”, delle informazioni generiche o eventi collaterali interessanti quanto i problemi a trovare un parcheggio in centro il sabato pomeriggio.

Altro caffè, altra sigaretta. Numa dorme nel buio fresco della camera da letto.
Le note della tromba di Wynton Marsalis si impastano nell’aria carica di umidità.
Inizio ad interrogare i forum e le liste. Un oceano di ricette per biscotti al cocco e mandorle, per la corretta igiene orale delle cocorite e di spettacolari patch unix per l’implementazione delle risorse linux si palesa improvvisamente. Questo è lo spazio “fisico” dell’infundibolo iconosinclastico di Kurt (Vonnegut), il punto zero della ragione e del torto, il luogo dove tesi ed antitesi si equivalgono. Qui perversi logorroici e spiriti puri si mescolano scomparendo oltre le cortine del “rumor bianco”. Qui io sto cercando un uomo. Alan Smith. Le probabilità di trovarlo sono le stesse di individuare il signor Mario Rossi con un neo sulla chiappa destra leggendo la guida del telefono.

Sono gli anni ’70. L’agricoltura non ha ancora abbordato la deriva “genetica” e la ricerca è ancora saldamente nelle mani delle Major chimiche, supportate dai bassi costi dei combustibili fossili. Ma le cose non stanno più filando così lisce come le aveva previste Von Liebig, iniziano ad aprirsi delle crepe nel sistema. Alan Smith, ricercatore di punta del New South Wales Department of Agriculture, viene mandato ad indagare una di queste.

Nel nord dell’Australia un’intera piantagione di avocado è stata falciata dalla Fitosfora. Ogni intervento chimico è risultato inefficace, le Major non possono accettare un fallimento, hanno bisogno di sapere. Alan parte per condurre la sua indagine ma, come capita spesso a chi si allontana troppo dal “centro” delle cose, perde i contatti con la realtà della ricerca scientifica ed inizia a scomodare situazioni “non consone”.
L’agricoltura biologica e naturale sono, in quegli anni, realtà marginali, non considerabili, velleità “artistiche” sull’argomento agricoltura.

Smith scopre che nelle coltivazioni trattate chimicamente non vi è traccia di Etilene, segnalato spesso, invece, nelle coltivazioni biologiche e nelle praterie. Pare che la sua presenza più assidua sia soprattutto nei suoli indisturbati delle foreste. Ma quali sono i collegamenti? In che modo il seriale massacro degli avocado per mano della Fitosfora è riconducibile all’assenza sul luogo di Etilene?

Le indagini lo portano ad indagare tra la nutrita comunità batterica del suolo (1000 milioni di batteri in 1 grammo), background di origine sia per Fitosfora che Etilene. Non è un lavoro semplice, scucire informazioni ai batteri non lo è mai. La comunità risponde alle leggi dell’universo, ci sono i buoni, ci sono i cattivi. Vivono mescolati, in piccole zone ben distinte tra un aggregato di materiale terroso e l’altro. Smith sceglie una comunità indigena, lontana dai campi delle Major. Il nostro uomo si sta allontanando. Come il Kurtz di “Cuore di Tenebra”, sta perdendo il contatto con i mandanti. La realtà che gli si presenta è sconcertante.

All’interno degli angusti spazi degli aggregati la comunità di batteri vive degli “scarti” delle piante che li sovrastano. Già da diverso tempo erano in corso indagini. I vegetali superiori sembravano assorbire, per i loro traffici, più energia del necessario. Secondo la crudele legge di Darwin questo li avrebbe dovuti portare all’estinzione nel giro di pochi anni: gli organismi inefficienti non erano ben visti in natura. Dove andava a finire quel 25% di energie disperse non dichiarate? La risposta era lì… alimentavano e mantenevano gli scambi sotterranei della rizosfera. I batteri si sa, non sono famosi per l’autocontrollo e messi in una situazione di comodo, con ossigeno e alimenti in grande quantità tendono a sviluppare le loro comunità in maniera vertiginosa. Ma lo sviluppo ha limiti precisi, soprattutto quando la tua casa è un micron di spazio vuoto tra blocchi di fango.

Gli stupidi microrganismi continuavano a consumare completamente l’ossigeno a loro disposizione. Smith rimase perplesso, era simile a ciò che succedeva nella piantagione. I batteri muoiono asfissiati e la decomposizione anaerobica (senza ossigeno) dei corpi porta ad uno stato di indebolimento della pianta. Era così che Fitosfora aveva colpito. Perché qui non accadeva? Ci fu un leggero movimento alle sue spalle. Un impercettibile rumore che riverberò sulle pareti dell’intero micro sito. Qualcosa stava mutando nella struttura stessa delle pareti.

In assenza di ossigeno il ferro presente negli aggregati circostanti stava passando dalla forma insolubile trivalente (FE3+) alla forma mobile bivalente (FE2+) il tutto con il repentino passaggio di un elettrone. Improvvisamente i minerali precedentemente bloccati nella struttura cristallina ferrosa, dall’alta carica elettrica, (fosfati, solfati ed altri) si liberarono venendo immediatamente assorbiti dalla pianta. Ma non solo, anche quelli bloccati nelle particelle di argilla e nei resti organici (azoto in forma ammoniacale, calcio, potassio e magnesio) si disgregarono in seguito all’impulso del ferro in forma mobile. Era quello che le piante volevano… una comunità di batteri che svuotasse di ossigeno le sacche in prossimità delle radici per poter assorbire i nutrienti necessari. Il tutto a spese dei microrganismi? Era un’azione troppo laida anche per un vegetale…

Alan si accorse solo all’ultimo della sua presenza, quasi intangibile. Etilene. Lui era lì. Nel trambusto di minerali e nutrienti che schizzavano da tutte le parti risucchiati dalle radici non l’aveva percepito. La reazione era stata silenziosa, nascosta. I precursori dell’etilene erano già in posizione, in attesa, nascosti tra gli aggregati, silenti. Erano, anche loro, inviati dalle piante. Vecchie foglie morte, decadute dopo aver raggiunto la pienezza della loro maturità. Erano lì, sul suolo, in attesa che arrivasse il segnale: la mobilitazione del ferro in forma bivalente. I componenti c’erano tutti, FE2+ ed i precursori. Quindi c’era anche Etilene.

Etilene, è un personaggio noto alle cronache vegetali. E’ lui che regola la germogliazione dei semi e la maturazione dei frutti (in alcune occasioni si presta anche a lavoretti sporchi tipo far maturare artificialmente i pomodori a settimane di distanza dal raccolto). Il suo ruolo, in questo caso si rivelò fondamentale per chiudere il cerchio. A lui toccava il compito, un attimo prima che i microorganismi crepassero miseramente, di farli cadere in uno stato di stasi impedendone la morte. Semplicemente smettevano di consumare ossigeno, in questo modo il gas vitale poteva tornare a riempire il micro sito risvegliandoli come se niente fosse stato. E tutto ricominciava da capo. La tresca era stata molto ben organizzata… ma cosa era successo quindi nel campo di avocado? Le Major avrebbero voluto uno risposta. E non gli sarebbe piaciuta.

Alan torna alla piantagione per tirare le conclusioni. Si è allontanato molto, troppo, è venuto a conoscenza di scambi e relazioni che per milioni di anni erano rimaste appannaggio di pochi eletti (microbi, ioni ecc…), simbiosi nascoste tra gli apparati più influenti del terremo che per secoli avevano garantito la fertilità dei suoli. Ma non nella piantagione. Non nell’agricoltura delle Major.

Nei campi coltivati la lavorazione ripetuta del terreno drogava di ossigeno i batteri, i quali in peno stato di frenesia delirante trasformavano l’azoto ammoniacale NH3 (quasi il 100% dell’azoto disponibile nei terreni naturali) in nitriti HNO3 e nitrati HNO2 impedendo il completo consumo dell’ossigeno nei micro siti e di conseguenza il passaggio dallo stato aerobico a quello anaerobico, figurarsi se a questo si aggiunge “una botta” di fertilizzati. Li per lì non cambiava nulla ma i nutrienti non erano più resi disponibili alle piante. In più le pesanti lavorazioni tendevano ad asportare i resti vegetali eliminando materiale organico dal suolo e con lui i precursori dell’etilene… questo avrebbe condannato i batteri a morte certa con conseguenze pessime anche per le piante.
Il modello che le Major stavano portando avanti era tutto sbagliato.
Per modificare sostanzialmente le cose si sarebbero dovute evitare lavorazioni del terreno e concimazioni azotate, incentivare coperture vegetali permanenti ed un continuo “ritorno” di materiale vegetale sulla superficie del terreno (meglio se da piante che hanno raggiunto la completa maturazione). Questo avrebbe limitato i processi di nitrificazione, incentivato la presenza dei precursori dell’etilene e mantenuto una buon struttura degli aggregati.

Alan aveva chiuso il cerchio. Aveva individuato una delle chiavi di volta del sistema affaristico vegetali-microorganismi-suolo. Tornò a casa. Pubblicò una bozza di ciò che aveva scoperto sulla rivista “Nature”.
Sarebbe stata una delle ultime volte che si sentiva parlare, in ambito accademico, del ciclo ossigeno-etilene.
A riguardo non arrivarono nemmeno smentite… solo silenzio.

Nel 1985 venne rintracciato. All’epoca era stato nominato direttore del Rydalmere Chemical and Biological Research Institute, istituto chiuso nel 1992. Lo avevano cercato per tenere una conferenza ad un’incontro dell’istituto di Permacultura a Otford. Inviò un po’ di carte con riferimenti ai suoi lavori ma si rifiutò di parlare dell’argomento etilene.
Le carte, appunti per conferenze, furono pubblicate per la prima volta in “Australian Plants” Vol. 9 n° 73 del 1977 poi sul n° 7 dell’ International Permaculture Journal nel marzo del 1981.

Nel 1989 sul “New Scientist” comparve un articolo di uno studioso inglese che aveva condotto delle ricerche in Africa arrivando a conclusioni simili. Micro siti anaerobici, ferro, nutrienti ed effetto inibitore dei nitriti… ma non c’era più traccia dell’etilene…

Poi anche le Major Chimiche incominciarono il loro declino, seguito dal sorgere delle Major Genetiche e la cosa divenne “futile”.

Ormai e notte… l’aria si è fatta fresca, complice un temporale passato non troppo lontano. Il “rumor bianco” interrogato mi ha dato questa risposta. Contratterò ancora con il mio amico. Credo che avrà da ridire sulla “forma” ma forse posso salvarmi con uno schemino con dei disegnini piacevoli…

Pare che qualche Major Genetica stia elaborando una pianta di pomodoro che non matura se non nel momento in cui viene irrorata di etilene prodotto in laboratorio. E non sono neanche riuscito a capire che fine a fatto Alan…
Mi giro una sigaretta. I gatti continuano a dormire.

19
Giu
08

i manuali del giovine autarchico n°3

Credo che ormai si sia capito (se visitate abitualmente questo spazio). Sono sempre più convinto che, per dirla con Toby Hemenwey, agricoltura sostenibile sia un ossimoro. Al punto che incomincio a diffidare anche dei sistemi di coltivazione biologici.
Leonardo da Vinci sosteneva che l’uomo sapesse più cose sulle stelle che giravano sulla sua capoccia che non di cosa succedesse realmente nel terreno che calpestava tutto il giorno. La situazione non è cambiata di molto.

Purtroppo, quando si parla di auto fertilità del suolo, di sistemi di coltivazione “sinergici” e “biomimetici” anche il piccolo ortolano casalingo pensa: “Fricchettoni, andate a ricongiungervi con Gaia madre terra da un’altra parte!” o, al meglio, ti guardano sorridendo e pensando che sei un innocuo perditempo.

Peccato che Fukuoka, prima di diventare un’idealizzazione da immaginario occidentale dello zen, fosse un microbiologo. E che esistano centinaia e centinaia di studi scientifici a riguardo.
Io mi interesso a quelli (quantomeno ci provo). Gaia era solo una mia amica delle superiori.

Uno dei fattori determinanti per la fertilità del suolo sono le micorrize. Avete presente quando si parla di piante azotofissatrici… ecco, siamo da quelle parti. Le micorrizze sono funghi simbionti che, tra le altre cose, aumentano la capacità di assorbimento di nutrienti da parte delle piante (arrivando persino a soppiantare le radici stesse) e producono una glicoproteina fondamentale per la ritenzione idrica, di CO2 e dei suddetti nutrienti, oltre ad agire sulla capacità di scambio cationico e la soil foodweb attraverso la creazione ed il mantenimento degli aggregati, la glomalina. (Qui un PDF illustrativo)

Provate ad indovinare cosa succede alle micorrizze e a tutto il resto quando la terra viene troppo movimentata o concimata in maniera non attentamente calcolata… fine di uno dei fattori fondamentali della fertilità del suolo. Questo succede ormai da anni su grande scala, ma anche su media e piccola, e anche nell’agricoltura biologica. Questo è anche uno dei motivi per cui, tecnicamente, buona parte dell’Europa è ormai considerabile un deserto dal punto di vista della fertilità. Se per far crescere un romolaccio dovete girare, addizionare letame, girare nuovamente… va da sé che non si può considerare fertile il terreno… è fertile entro i limiti in cui voi lo rendete tale, e la cosa mi sta bene per il deserto del Sahara, un po’ meno per la pianura padana…

Fatto il pippone. Qui la pagina web su come autoprodursi un’inoculo di micorriza.

AGGIORNAMENTO ho ricevuto l’autorizzazione per la traduzione! A presto la pubblicazione… Grazie mille a Lindsay EPF Co-ordinator!

Comunque fate una cosa buona per il vostro orto: smettete di zapparlo e concimarlo e ricostruitene la fertilità naturale, starà meglio lui e starete meglio voi (sdraiati a prendere il sole nei pressi del boschetto di fragole)

17
Mag
08

diario di campagna n°87

IL CICLO OSSIGENO-ETILENE

STAVO TORNANDO A casa in bici. Seduto sul seggiolino posteriore un comandante Kirk di due anni e la metà di trecento giorni. Senza il garbo e l’affabilità del vero Kirk. Avete presente? Una cosa tipo: “Sulu, abbia la grazia di passare a warp 9 onde evitare che i Romulani ci riducano allo stato alterato di immaterialità quantica…” ecco, dimenticatevelo.
All’altezza del giardino della nostra vicina, il comandante mi infila nel rene sinistro una Corvette metallizzata del 87 scala 1:100, la traduzione del gesto potrebbe suonare vagamente così: “Spock, gentilmente, tracci le coordinate del settore gamma per una deviazione verso la vecchina nell’orto, la vetusta aliena ci consegnerà sicuramente qualche dolcetto!”.
La scena, all’approdo, e la seguente: vecchina di 80 ed ignoti anni, di circa 1.23 cm con zappa di circa 1.89 cm che bestemmia in antico dialetto klingon mentre scalza le erbacce.
E qui lo scontro di culture (e colture) si fa immediatamente teso.

COME SPIEGARE ALLA novella Yoda (ma senza le orecchie) che c’è un sistema di gestione dell’orto che non prevede che lei si spacchi la schiena ribaltando zolle in continuazione? Come spiegarle che ciò che lei sta facendo da una dozzina di lustri la sta costringendo, anno dopo anno, a zappare, ingrassare, girare, sarchiare ecc… ecc… E qui la scena rallenta. La realtà esterna scompare e si mettono in moto le sinapsi.

Il CICLO OSSIGENO ETILENE spiegato alla vecchina.
Uno dei principi dell’agricoltura del “non fare” è l’autofertilità del terreno. Nei sottoboschi o nelle praterie le piante traggono i nutrienti dal suolo senza bisogno di pesanti interventi di “areazione” o di concimi. Questo anche grazie al ciclo ossigeno-etilene studiato dal biologo del suolo australiano Alan Smith. Una cosa che in fricchettonese potrebbe essere definito “il respiro della terra”.

Secondo Smith, ogni 20 minuti circa nelle microporosità del terreno avviene una serie di scambi il cui risultato garantisce alle piante (nel nostro caso insalate, pomodori, zucchine ecc…) il giusto apporto di nutrienti come azoto, potassio, calcio, magnesio, fosforo ed altri oligoelementi. Tutti questi elementi non sono però in forma immediatamente assimilabile e qui entra in gioco il “ciclo”.

Un 25% dell’energia assorbita da una pianta viene “dispersa” nel terreno attraverso le radici, apparentemente in maniera insensata, in realtà quest’energia, abbinata a materiale organico in decomposizione, crea l’ambiente ottimale per lo sviluppo di microrganismi che colonizzano le porosità del terreno in prossimità delle radici. I microorganismi consumano l’ossigeno presente creando una situazione anaerobica che innesca un processo chimico atto a scomporre il ferro presente nel suolo in sostanze assimilabili dalla pianta. Questa scomposizione stimola la produzione di etilene (gas fondamentale per le piante tant’è che spesso i pomodori vengono raccolti verdi e poi conservati sotto etilene per farli maturare… esempio di distorsione di un processo naturale…) che inibisce l’attività microbica e spinge i composti chimici verso l’esterno dove, a contato con l’ossigeno si ossidano nuovamente in attesa di tornare utili alle piante. Nel frattempo l’ossigeno rioccupa le porosità risvegliando i microrganismi. E via! Altro giro altra corsa!

La tecnica di “arieggiare” il terreno, in un primo momento, rende tutti i composti gassosi e minerali disponibili alle piante ma in eccesso causandone la dispersione, elementi fondamentali come l’azoto, ad esempio, sono estremamente volatili. E come se a fronte della richiesta di un panino noi servissimo un pranzo nuziale e buttassimo poi via tutti gli avanzi.
In più con queste pratiche l’azoto, normalmente in forma di ammonio si trasforma in nitrati che bloccano la produzione di etilene. La conseguenza è la necessità, costosa in termini di energia e denaro, di supplire ad una cronica carenza di nutrienti ed a una continua lavorazione del terreno perché li assimili…

Fine del ragionamento. Ritorno a velocità normale. Apro la bocca e mi sento dire:”Hai bisogno di una mano?”.
Scena seguente, 1.80 m per 63 Kili di uomo caucasico verso i 40 che zappa bestemmiando sotto gli occhi vigili di un micro comandante intergalattico e della sua amica aliena.

Disclaimer: come sempre il lavoro di inserire dati formali in testi cialtroneschi non è così semplice… perdonate le imprecisioni tecniche ove vi fossero e vi prego di segnalarle. Tendo a non rileggere. E poi se passa di qua Meristemi che figura ci faccio?! 

Comunque questo è in link ad un articolo esaustivo (in Inglese)
Mentre questo è la versione ridotta ma efficace (in Italiano)




L’ orto di carta

Diario di bordo ad aggiornamento casuale e saltuario di un cialtrone nell'orto... giocando con il fango, la permacultura, l'agricoltura sinergica in compagnia di William Cobbett, John Seymour, Fukuoka e Kropotkin.

Per Contattarmi:

Aggiornamenti via mail?

Parte della libreria di OrtodiCarta

how to be free manifesto

Pastafarian Blog

Accessi dal 8 aprile 2008:

  • 820.611 hits
Add to Technorati Favorites

Troverò altri sistemi di finanziamento occulto…

Foto di Carta


%d blogger hanno fatto clic su Mi Piace per questo: