The ice age is coming, the sun’s zooming in
Meltdown expected, the wheat is growing thin
Engines stop running, but I have no fear
Cause London is drowning and I, live by the river
The Clash – London Calling
Fa freddo, è autunno e io abito in riva al fiume.
Questo fa si che si entri di diritto nella stagione degli sport indoor e, come risulta evidente dai commenti al post precedente, la cosa non è totalmente indolore sotto molti aspetti.
Per l’inverno sto preparando una nutrita libreria di documenti da leggere e pianificando diverse azioni prive di significato spendibile (questo è il mio personale concetto di lusso… fare delle cose prive di un senso compiuto e prive di conseguenze a lungo termine)
La prima è un motore.
Non nel senso classico del termine per quanto possa avere a che fare con la termodinamica, sapessi cos’è.
E’ un centro di produzione energetica. Una batteria. Una cellula.
La cosa migliore è che si può tenere sotto il lavandino della cucina senza nessuna controindicazione.
La cosa migliore è che si può tenere in appartamento in città… anche se il sistema funziona altrettanto bene nei boschi incontaminati (ma mi sfugge un po’ il motivo per cui si potrebbe voler montare una cosa del genere nel mezzo di un bosco).
La cosa migliore è che ne ho parlato a Venezia con i ragazzi di Spiazzi e con Elena i quali si aspettano una descrizione un po’ più precisa di uno dei “motori” delle mie progettazioni urbane…
Et voilà!
Scopiazzando beceramente da almeno una dozzina di fonti internet diverse.
Vigliaccamente bypassando e “piratando” gli EM.
Subdolamente saccheggiando i bidoni dell’immondizia di ex-colleghi.
Il Bokashi!
Si. Ok. Capisco. Ha un nome giapponese e quindi sa immediatamente di vaccata… ma mica e colpa mia se è un sistema tradizionale giapponese (che poi… lo fanno da millenni in tutto il sud-est asiatico…).
Noemi apre la dispensa della cucina e bestemmia.
Le spiego che è roba mia. Che mi serve per un esperimento…
Noemi bestemmia e chiude la dispensa.
Dicevo…
Vi hanno sempre raccontato che il compost va areato, che i processi anaerobici non vanno bene, portano patogeni, marciumi maleodoranti ecc… ecc…
E vi hanno sempre detto che ci vuole spazio.
Ok.
Fate finta che nessuno vi abbia mai detto niente o, se abitate in appartamento, fregatevene.
Tra parentesi: se abitate in appartamento ma non avete un balcone o delle piante vi chiederete perché fare il compost. Semplice, perché sarebbe bello che la gente cominciasse ad assumersi la responsabilità della propria immondizia e non si limitasse ad abbandonarla nel sacchettino di materbie. Cosa farvene del compost? Regalatelo ad un amico, disperdetelo nel parco, concimateci l’ailanto che sta facendo saltare i tabelloni del marciapiede davanti a casa… quello che vi pare. Potete persino portarlo ai giardinetti per concimare qualche asfittica piantina urbana.
Tornando a bomba.
Il Bokashi dell’Orto di Carta.
Puntata n°1
dove il cialtrone sforacchia secchi.
Cos’è il Bokashi?
Fondamentalmente è un compost prodotto in assenza di ossigeno grazie al lactobacillus serum o, se volete spendere soldi, grazie ad un cocktail di lieviti e lactobacillus serum denominato “EM”.
La traduzione letterale dovrebbe essere “fermentato di scarti organici”.
Quali sono i vantaggi?
Non ha odore (non più di un barattolo di crauti se ci infilate il naso dentro) ed è fattibile in pochissimo spazio. Quindi adatto al compostaggio domestico in città.
Per realizzare la mia compostiera ho recuperato un paio di barattoli in plastica di quelli per le olive o, come in questo caso, per le macedonie da ristorazione collettiva. Sono da 15 litri e si recuperano facile dalle mense scolastiche o dai ristornati.

Di uno ho sforacchiato il fondo con il trapano.

Il buco nel secondo secchio (nella foto con tappo d’ordinanza) serve per raccogliere i liquidi di scolo senza dover aprire il coperchio ed evitando quindi di far entrare troppa aria nel composto.

Il liquido è inodore ed è la vera manna di tutto il processo: diluito 1: 20 è praticamente una soluzione nutritiva “attiva”, viva. In pratica: uno yogurt per piante, fermenti lattici per il suolo…
Puntata n°2
dove il cialtrone si autoproduce lactobacillus serum e poi pensa che in effetti poteva evitarselo.
Nel secchio del bokashi si può mettere qualsiasi scarto organico (carne e cibi cotti compresi a differenza del compost).
Il tutto funziona grazie al lactobacillus serum che, in situazione anaerobica, elabora la materia organica occupandola completamente ed impedendo lo svilupparsi di muffe e marciumi (vera causa di fastidiose puzze ed invasioni di noiosi moscerini).
Come procurarsi il lactobacillus serum?
Facile.
Se vi fate lo yogurt in casa sarà sufficiente scolarlo raccogliendo l’acqua in un contenitore. Quello è lui.
Ma io che sono un cialtrone e a queste cose penso sempre una settimana dopo ho seguito il procedimento lungo…
Fase 1
Prendere mezza tazza di riso e metterla in una terrina con 1 tazza di acqua.
Agitare molto bene e scolare l’acqua della sciacquatura di riso in un barattolo accertandosi che sia riempito solo per 1/3.
Coprire il barattolo senza chiuderlo (deve passare aria) e lasciarlo riposare lontano dalla luce e dal calore per 5-8 giorni.

Prego notare sullo sfondo una delle dozzine di cestinate di Achocha di quest’anno… uno dei raccolti migliori insieme all’alloctono Topinabur…
Fase 2
Dopo i 5-8 giorni l’acqua avrà un leggero odore acidulo.
Filtrate ogni residuo ed aggiungete 10 volte il suo volume di latte e rimettete tutto a riposare per altri 14 giorni.

Passati questi il latte si sarà separato. Filtrate la parte solida, il liquido che vi rimane è Lactobacillus Serum.

Et voilà! Non è più difficile del fare il pane o, appunto, lo yogurt…
…qualcuno usa anche il kombucha ma non saprei dire. L’ultima volta che ne vidi uno eravamo ancora in preda ad Adam Ant.
Puntata n°3
dove il cialtrone usa il suo secchiello bokashi.
Ok. Ho il secchio, ho il lactobacillus… e ora?
Bene… nel bokashi fighetto, quello acquistato via internet, quello in cui mi faccio spedire gli inoculi di EM in un bel substrato di crusca d’avena è tutto molto semplice e costoso…
Io, ho preferito seguire le istruzioni di altri cialtroni a cui mi sento più affine.
A questo punto si prendono dei gran bei fogli di giornale e gli si fa un bagno nel lactobacillus avendo l’accortezza di non strapparli o accartocciarli. (Io ho usato una bacinella bassa rettangolare).
Fatto questo, li si stende ad asciugare. In questo modo avremo sempre una scorta di inoculi ad alto contenuto di carbonio da aggiungere nel nostro secchiello.
Istruzioni per l’uso:
Prendere uno dei fogli di giornale inoculati e disporlo sul fondo del secchiello.
Mettere all’interno i rifiuti organici pressandoli molto bene fino ad ottenere uno spessore di circa 2-3 dita (pressateli molto bene in modo da far uscire tutta l’aria).
Coprire il tutto con un altro foglio di giornale inoculato.
Chiudere bene ermeticamente il coperchio.
Procedere così fino a completo riempimento del secchio.
A questo punto mettere il tutto da parte per 10 giorni circa.
Et voilà il bokashi è pronto!
ATTENZIONE
E’ estremamente importante che non entri troppa aria nel secchio quindi conviene riempirlo solo quando si è sicuri di avere sufficienti rifiuti. Alcuni li tengono in frigo fino a quando non ne hanno a sufficienza per evitare di aprire e chiudere in continuazione il coperchio
Conviene, inoltre farsi un paio di secchi in modo da averne sempre uno vuoto mentre l’altro “matura”
Il risultato non sembrerà affatto compost. Non avrà il classico aspetto da terriccio ed odore di sottobosco. Il bokashi sembra quello che è: immondizia “krautizzata”.
Ma è uno dei migliori modi per riciclare i rifiuti organici in ambiente urbano oltre che il modo più semplice per produrre grandi quantità di soluzioni nutrienti per le piante.
Prossima puntata:
le applicazioni del bokashi nell’idroponia semplificata… e che Fukuoka mi perdoni. 😉
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