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13
Dic
10

De Rerum Rustica (trainspotting Catone) Puntata n°2

segue da qui

Va bene.

Abbiamo sospeso la narrazione, costellata qua e là da simpatiche carestie, emergenze umanitarie e guerre per il controllo di suoli coltivabili all’alba della Rivoluzione Industriale nelle mani di uomini che, più o meno impropriamente si sono impossessati del lavoro di Marta.

Da quel momento in poi l’energia non è più prodotta dall’agricoltura ma dai cadaveroni dei dinosauri che qui e là giacciono nel sottosuolo.

Oddio, è stata comunque una gran bella soluzione alle carestie che da quel punto in poi vengono praticamente cancellate o, con più probabilità, sostituite da problemi di distribuzione.

Ora. Voi immaginate cosa succede ad un terreno coltivato dal 7000 a.C. quindi  già con una serie di problemi di per suo, quando gli piombano addosso trattori da 240 cavalli con vomeri da 110cm, erpici, dischi…

Ma ancora meglio: provate a pensare cosa succede ad un suolo “vergine”, mai coltivato prima, non inserito in un processo “gestionale” di secoli, quando questo accade.

Foto di Dorothea Lange

Due parole: Dust Bowl.

Vi siete mai chiesti perché tutti i maggiori movimenti di preservazione del suolo, le tecniche di no-tilling e, perché no, gli ogm salvifici che richiedono meno acqua e meno lavorazioni del suolo arrivano dagli Stati Uniti e dall’Australia?

Probabilmente perché li, più che in altri posti, i danni di un’agricoltura industriale si sono presentati in tutta la loro “efficacia”. Negli States con la succitata Dust Bowl, in Australia con la desertificazione e gli sturboni sulla biodiversità (vedi conigli, rospi, pecore… con buona pace per la nostra idiosincrasia per l’ailanto…).

Quelli erano terreni “non coltivati” secondo l’accezione “classica” del termine in cui i risultati di quello che noi conosciamo come “agricoltura moderna” si sono presentati in tutta la loro devastante forza (occhio: il biologico è ascrivibile all’agricoltura moderna)

In Italia siamo un poi’ più fortunati. Il sistema non è ancora completamente collassato. La terra in pianura è poca e l’agricoltura industriale a fatto fatica a prendere piede preservando nicchie di bilanciamento tra ipersfruttamento e soluzioni tampone. Hanno quasi fatto più danni le politiche di edilizia ed i geometri. L’Italia è un paese basato sull’ufficio tecnico del comune (art. 1 della nostra costituzione se fosse scritta con un minimo di senso della realtà).

Ma i danni ci sono e si vedono. Il dissesto idrogeologico è lì a dimostrarcelo. E non sto a menarvela con il vetiver

Unico problema. Tra gli anni ’30 e gli anni ’40, durante la Dust Bowl, una sola tempesta era in grado di scaricare più di 1Kg di suolo per abitante sulla sola città di Chicago. Da noi non si sollevano e non atterrano pompose palle di polvere di terra… da noi la terra scivola lentamente sulle strade, sui paesi, sulle persone in un lento e progressivo viaggio che ha un’unica conclusione: il mare.

E’ la fortuna di essere una lunghissima lisca di terra nel mezzo di un bidet chiamato mediterraneo. Siamo praticamente un’isola ma continuiamo a considerarci “continentali”… Siamo un paese “ligure”, se qualcosa ti cade dal balcone è perso in mare. Anche se stai sulle Dolomiti.

Tra parentesi. Avete presente quando piove. Anche in pianura si formano dei piccoli rigagnoli di acqua marrone intorno al vostro orto. Il marrone è dato dalla frazione più piccola degli aggregati di argilla, la frazione “nobile”, una di quelle fondamentali per lo Scambio Cationico. Se tutto quel marroncino se ne invola giù per i canali, per i torrenti, nei fiumi fino ad andare a conoscere i parenti del fossile che avevano lì accanto finché qualcuno non ha deciso di coltivargli il mais sulla testa… beh… potete avere tutti nutrienti elencati da Liebig necessari alla crescita del vostro pomodoro ma le radici non riusciranno che ad assorbirne una minima parte… Scambio Cationico… l’azione di trasferimento tra le basi di scambio (colloidi come l’argilla sopracitata) e le radici dei nutrienti… e si fotta la botte, le doghe e tutte le altre pippe. Ciao, ciao, buone vacanze in riviera al terreno sano… possiamo solo sperare che prima o poi l’area tra Lampedusa e Tripoli sia coltivabile.

E va bene.

Abbiamo inventato l’agricoltura e l’abbiamo “tesa” fino alle estreme conseguenze trasformandola da produzione di energia a consumo di energia.

E abbiamo ancora un sacco di problemi.

Primo tra tutti la completa mancanza di un’analisi EROEI nel comparto agrario.

Che non vuol dire coltivare pannelli fotovoltaici.

E tanto meno industriarsi intorno agli OGM che sono solo la versione in camice bianco e dischi di petri della nostra simpatica Marta Stewart del neolitico.

Il problema principale è che potete vestirvi come vi pare ma siete sempre li a piantare semini e strappare erbacce due passi fuori dalla caverna anche travestendosi da tecnici del comparto agro-alimentare (bio o non bio che sia)

Vuol dire ricominciare.

E non ricominciare da mio nonno che coltivava il “broccolo appeso del val brembana” o dalle buone pratiche alla “TerraMadre”.

Vuol proprio dire reinventare l’agricoltura sotto un’altra ottica. Salvando quello che c’è di buono e gettando alle ortiche (buone in risotto o frittata) il resto, ovvero tutto ciò che non produce energia (nel termine più ampio e generale del termine energia che in primissi traduce comunque con: pappa buona a pranzo e cena). Mentre ci siamo… che ne direste di dare una drastica riduzione al consumo e alla coltivazione di cereali? (Questo per tutti i neo-rurali che si ostinano a cercare di coltivare grano, mais ecc… a cui va, comunque, tutto il mio affetto e rispetto).

Vuol dire reinventare un percorso che, pur tenendo in considerazione Marta ed i suoi simpatici figlioli (tutti maschi a parte alcune rare eccezioni come Lady Eve Balfour) scansi le false soluzioni offerte da una agricoltura “tradizionale” a marchio AIAB o dal Biotech.

Citando uno a cui sono state attribuite più frasi storiche che letti a Garibaldi: “Non si può risolvere un problema partendo dagli stessi presupposti che l’hanno creato”. A. Einstein

E quindi andiamo a cambiare i presupposti.

… o almeno… ci si prova nella prossima puntata…

09
Dic
10

De rerum rustica (Catone in LSD compreso nel prezzo) – Puntata n°1

Quello che segue è più o meno il resoconto di ciò che un manipolo di ormonali futuri periti agrari ha dovuto subire in quel di Biella.

Immaginate la scena. Aula Magna (nulla di pomposo a parte il nome)

Enzo ha appena finito la sua parte sulla sostenibilità ed il nostro rapporto con la produzione alimentare.

In attesa che l’amico G parta con la descrizione “tecnica” dell’Agricoltura Sinergica io mi intrometto con l’otto-volante del pindarismo agro-eco-nomos-logico.

Che poi, in definitiva, dopo che ti ho fatto vedere cosa ha creato il nostro sistema alimentare e prima di descriverti una soluzione possibile cosa diamine vuoi aggiungere?

La prendo alla larga. Il presupposto di prenderla alla larga è che prima o poi si verrà condotti da qualche parte. Ce l’ha insegnato Cappuccetto Rosso. Io, di per mio ce la metto tutta per fare il Lupo (spelacchiato, raffreddato, cisposo ma pur sempre un po’ lupesco).


La Mesopotamia del 7000 a.C. È un punto abbastanza alla larga secondo alcune teorie un po’ semplicistiche ma generalmente accettate.

Una versione molto pelosa e con un notevole prognatismo di Marta Stewart inizia a lanciare dei semi fuori dal rifugio che condivide con Urgh, ottimo esemplare maschio da riproduzione. Tant’è che nella grotta si rotolano 7-8 marmocchi.

Urgh e la sua famiglia hanno smesso di vagare in giro alla ricerca “casuale” di cibo scegliendo la moderna vita stanziale del neolitico (vedi volantino illustrativo). Questo ha comportato alcuni problemi (vedi la sproporzionata quantità di marmocchi).

Comics di David Steinlicht

La nostra Marta Stewart, dovendo sfamare la progenie inventa una cosa di cui, secondo Jared Diamond, Bill Mollison, Fukuoka ed altri si poteva tranquillamente fare a meno: l’agricoltura.

La necessità della nostra pelosa nonna è quello di ottenere energia immediata nel minor tempo possibile. La scelta cade su sementi annuali (più facilmente riproducibili, ibridabili, selezionabili e, soprattutto, pronte da mangiarsi!)

Ok. Lo ammetto… seppur io condivida alcune teorie della Gimbutas non ne condivido il sesso il che mi rende un po’ meno legato alle questioni “politiche” di genere sessuale… ma giuro che se si vuole andare a bruciare i wonderbra in piazza mi unisco volentieri se non altro perché dopo quasi 30 anni di famiglia strettamente ginocentrica mi viene più facile che andare a bruciare i sospensori…

Ma torniamo a Marta.

L’agricoltura nasce, quindi, come produzione energetica “veloce” attraverso l’uso di piante annuali. E fin qui tutto bene, con buona pace di quell’essere inutile di Urgh che colleziona lividi ed abrasioni cercando di stabilire il sesso delle capre di montagna che ha appena finito di recintare. La caccia è ormai una scusa per mollare a casa la famiglia ed andare a scovazzare con gli amici nei villaggi vicini.

E, mentre l’inutile maschio, s’aggira creando i presupposti per un disastro demografico, la Marta inizia ad impostare le solide basi per un’agricoltura insostenibile, irrazionale e controproducente:

il diserbo, la lavorazione del suolo, le concimazioni e l’irrigazione.

Forse sperava così di eliminare i problemi causati da Urgh.

Una roba un po’ alla “muoia Sansone con tutti i filistei ma soprattutto quel pirla del padre dei miei figli” con buona pace del senso materno e della protezione della specie… pim pum pam. Uno di quegli svarioni alla Vicki di “Io, Robots” (nella versione di Alex Proyas… sigh…).

No. aspettate. Non vi perdete.

A cavallo della Seconda Guerra Mondiale il buon Dr. Lowdermilk (tenete a mente: Americano… sembra una bojata ma poi…) parte per un giro del mondo dell’agricoltura per studiare cosa ha portato al collasso produttivo le varie colture e società (un Jared Diamond senza i germi e le pistole molto prima di Jared stesso) e provate ad indovinare cosa ne deduce?

Che il diserbo, la lavorazione del suolo, le concimazioni, l’irrigazione e la pastorizia (volevate mica che Urgh si limitasse alla sovrappopolazione) sono state le principali cause del fallimento della produzione energetica e, conseguentemente, delle società che quest’energia supportava.

Si perchè, per ora, quando si parla di agricoltura si parla di ENERGIA (cibo, legna, materiali da costruzione, vestiario… arriva tutto da li. Ma soprattutto: cibo. Che senza poter mangiare, col cavolo che i tecnici sulle piattaforme petrolifere estraggono il prezioso greggio…)

Ma intanto, noi siamo in una valle fertile, tra due enormi fiumi, il Tigri e l’Eufrate.

Qui, nasce l’agricoltura. Sempre secondo le solite teorie un po’ semplicistiche ma universalmente accettate (d’ora in poi sintetizzato con S.T.S.)

A dimostrazione delle analisi di Lowdermilk, qui dove siamo, ora ci sono 6000 contractors del governo americano (cifre sparate a caso) ed una serie di imbarazza nti questioni geopolitiche nel bel mezzo di una distesa di sabbia farcita di cadaveri di dinosauri. Fine del terreno fertile.

Ci sarebbe da soffermarsi sul fatto che in ogni caso le prime forme di energia si sono mosse da li: agricoltura prima, petrolio poi… ma sono già sufficientemente confuso così.

La particolarità è che la stessa cosa è successa ai terreni che vennero dedicati all’ approvvigionamento dell’Impero Romano e ad intere aree intorno al fiume giallo in Cina…

Tutte zone in cui con l’espandersi delle richieste energetiche della popolazione si provvedeva a disboscare e arare zone collinari, o dove si creavano grandi e complesse opere irrigue che o collassavano sotto il peso di una manutenzione improbabile o, alla lunga, sedimentavano sali attraverso l’evaporazione in un terreno che, se trattato diversamente, sarebbe potuto essere altamente produttivo.

Quindi, possiamo tranquillamente dare per scontato che:

l’agricoltura nasce come produzione di energia

l’agricoltura tende a creare problematiche che ledono l’agricoltura stessa

I discendenti di Urgh e Marta se ne rendono conto e spendono sempre più energie per tenere in piedi il sistema. Anche perché i figli sono sempre di più e le richieste sempre in aumento.

Tant’è che i fenomeni di carestia e le guerre per le risorse sono all’ordine del giorno.

Anche se bisogna dire che era comunque un bel l’andare… all’inizio dell’inverno si costruisce un grande cavallo di legno, lo si porta davanti al villaggio nemico, ci si scazzotta per tutto l’inverno con grandi gesta di eroismo ed atti di inconsulta vitalità machista, si scrivono un paio di capolavori che possano rimanere negli annali della cultura mondiale e si torna a casa in tempo per la nuova annata agraria. Niente a che vedere con le guerre moderne.

Ad ogni carestia, essendo noi animaletti dotati di una peculiare capacità di inventiva, (peculiare perché non sempre abbinata ad una sana capacità di preveggenza) si trovava una soluzione.

Carestia. I Sumeri inventano la canalizzazione irrigua (con conseguente salinizzazione della Mesopotamia)

Carestia. Gli egiziani inventano l’aratro a buoi (con conseguente maciullamento della struttura del suolo soprattutto se applicato a terreni minimamente in pendenza)

Carestia. Jethro Tull inventa la meccanizzazione delle seminatrici (con conseguente ipersfruttamento del suolo)

Carestia. VonLiebig teorizza l’agricoltura chimica (che manco ci pensava lui ma la Bayer ringrazia)

Carestia. Norman Borlaug si becca il nobel per la pace con il grano con cui conduce la sua Green Revolution (impoverimento della biodiversità, aumento delle meccanizzazioni, irrigazioni, concimazioni chimiche e diserbi… ma che bello…)

In mezzo a tutto questo inseguirsi di carestie e soluzioni si inserisce l’unica vera rivoluzione che abbia mai stravolto la faccia del pianeta (dopo l’invenzione dell’agricoltura): la rivoluzione industriale.

 

Mi spiace… vi toccheranno altre simpatiche puntate…



14
Ago
09

Rane Bollite, api e Landscape amnesia

Wasserfrosch

Dov’è finito l’orto?

E i manuali di fai da te estremo?

Dove gli interminabili pipponi sulla biologia del suolo e la necessità di smettere di rivoltare zolle di terra , dove le bucoliche narrazioni di un (presto ma non troppo) quarantenne alle prese con la sua nuova vita agreste, dove gli esperimenti di sussistenza, dove i brutali scontri con l’ottuagenaria vicina di casa… ma soprattutto, dove gli appunti di Emilia o novità illuminanti sul biochar?

Persi di fronte ad un paio di nuclei di api.

Perché?
Non so.
Forse perché la nuova vita agreste non è più tanto nuova e si sta cercando un “salto di qualità”.

Forse perché traslare i concetti, spostarli e ritrovarli in altri contesti, magari, li rende più chiari. Magari può riportarli a quella lucentezza che avrebbero dovuto avere in origine.

Le rane.
Friedrich Goltzun tot di eoni fa fece uno “scellerato” esperimento:
Primo – prendi una rana
Secondo – asportale il cervello
Terzo – (pensavi che fosse sufficiente come schifezza?) mettila in una pentola di acqua fredda
Quarto – metti la pentola sul fuoco e alza lentamente, ma inesorabilmente, la temperatura fino a portare l’acqua ad ebollizione
Conclusioni – la rana rimane lì e si lascia bollire non percependo il cambiamento di temperatura, aggiungendo un po’ di aromi, probabilmente, il buon Goltz sarebbe riuscito ad ottenere la versione barocca di un brodo di rana.

Ignoro il perché perdere tempo con un’attività simile, ma gli scienziati sono strani (e un po’ perversi): pare che uno abbia passato buona parte della sua vita a tagliare la coda ai gatti sperando di farli nascere senza… ma poi Darwin lo superò a sinistra e, probabilmente, lui finì a lavare i boccali in qualche pub di Southampton…

In ogni caso, l’ardito esperimento di Herr Goltz venne ripescato e riadattato dalla letteratura anglosassone fino a farlo divenire metafora di un peculiare atteggiamento sociale: se i cambiamenti sono così lenti da non essere percepiti, le “rane” si fanno bollire nel loro brodo.
Per alzare un minimo lo spirito letterario di questo blog si potrebbe citare, come esempio di letteratura da “rana bollita” la poesia “prima vennero…” sull’ascesa del nazismo (anche se così andiamo probabilmente troppo in alto).

Si, va bene, ma che c’entrano le rane, io sto aspettando i prossimi appunti di Emilia.

Bene, probabilmente non li vedrete mai se non nella loro veste originale che trovate qui.

Secondo Jared Diamond (sempre sia lodato, soprattutto per alcuni articoli che ha scritto a proposito delle macchine da scrivere) gli abitanti dell’Isola di Pasqua si comportarono come le rane.

Avete presente l’Isola di Pasqua?
Si, quella con i testoni di pietra. Quella spersa nel bel mezzo dell’Oceano. Quella che sembra brucata dalle capre da un miliardo di anni. No, non quella del flop mostruoso di Kevin Kostner. Quella vera.
Secondo Diamond (a dire il vero secondo un suo amico che gli ha dato l’idea mentre faceva degli studi sullo scoglio oceanico) gli abitanti dell’Isola di Pasqua non si resero conto di cosa stavano facendo fino all’ultimo momento.
Capiamoci, sei già uno che ha avuto la fortuna di arrivare su un isola nel bel mezzo del nulla. La colonizzi, ti stabilisci per benino, decidi di costruire degli enormi testoni di pietra per ammazzare il tempo e, mentre ti dedichi a queste amene attività, piano piano inizi ad abbattere uno dopo l’altro tutti gli alberi dell’isola.
Un giorno, sei lì che stai segando una palma che sicuramente ti servirà a qualcosa di indispensabile, tipo una libreria con incasso per la testa di pietra in scala 100:1 che segna il tempo (azzurro-pioggia, rosa-bel tempo) o per realizzare finalmente quel soppalchino per riporci la collezione di scalpelli intarsiati a mano dal nonno e… ops!

Era l’ultima… fine delle palme, restano le teste
(forse il loro significato è proprio quello: segnalare a chiunque si avvicini che quella è un’isola di teste di… pietra)

Landscape Amnesia.
Così viene definita la sindrome che colse gli isolani.
Quando i cambiamenti nel panorama sono talmente lenti che non possono essere tramandati da una generazione a quella successiva ed improvvisamente… puff! Il bosco non c’è più, la montagna non c’è più, non ci sono più i ghiacciai e, sotto casa, ti trovi il più largo e profondo baratro erosivo che tu abbia mai visto (ma in realtà non l’hai mai visto fino a quando non hanno iniziato ad incrinarsi le piastrelle del bagno, un gres magnifico, nero, opaco).
Una cosa simile successe negli USA con la Dust Bowl. Quando si resero conto di ciò che avevano fatto nella Corn Belt ormai avevano mandato in orbita ettari ed ettari di terreno coltivabile. Non c’era niente di sbagliato in ciò che facevano, era il progresso, bisognava produrre cibo, non poteva essere sbagliato, s’era sempre fatto così (non è vero… ma ci credevano)… Una cosa simile sta succedendo con i terreni coltivabili dell’alveo del Po, dal Piemonte all’Emilia e più in generale con i terreni coltivabili Europei.

Peak Oil.
E’ bello, è interessante, inizia a fare notizia.
Peak Soil.
Non gliene frega niente a nessuno. (o quasi)
E’ buffo, è come se ci preoccupassimo per il frigo che rischia di non funzionare più quando, tanto, non c’è più niente da metterci dentro (a parte una riproduzione di testa dell’isola di pasqua segnatempo)

Stai abusando del nostro tempo e della nostra pazienza… le api?

Le api.
Le api sono un sistema accelerato.
Nessuno ha fatto niente di male alle api. Si è solo cercato di razionalizzare il sistema. Di rendere le lavorazioni più semplici, più produttive.
In poco più di un centinaio di anni le api, un organismo che ha qualche migliaio di anni in più degli esseri umani, sono perennemente a rischio. Darwin, ovunque esso sia, sta ridendo allegramente, insieme ad un branco di primati non evoluti, dimostrando che le sue teorie erano corrette: la varroa, dopo anni di trattamenti chimici sconsiderati si è “evoluta” meritando l’appellativo destructor.
Osservate l’ironia della “sorte”: da una parte si ibridano le api per ottenere nuclei sempre più produttivi e docili (delle piccolissime mucche alate a strisce) mentre dall’altra si agisce selezionando involontariamente parassiti e patogeni sempre più resistenti…

In agricoltura, nel sistema di produzione alimentare, questi meccanismi sono più lenti e complessi. più difficili da analizzare e rappresentare.
Con le api (ahimè) è più semplice, i tempi sono più rapidi e l’amnesia meno incalzante.

Voi non sentite l’acqua che inizia a scaldarsi?




L’ orto di carta

Diario di bordo ad aggiornamento casuale e saltuario di un cialtrone nell'orto... giocando con il fango, la permacultura, l'agricoltura sinergica in compagnia di William Cobbett, John Seymour, Fukuoka e Kropotkin.

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