Ci sono le attese di quando sei alla fermata del pullman e ti accendi una sigaretta sperando che questo lo convinca ad arrivare in fretta.
Ci sono le attese in cui tu non devi fare niente se non aspettare, e poi le cose succedono.
Ci sono le attese di quando tu hai già fatto tutti i piani, tutti i progetti, tutte le ipotesi e poi, tanto, sai che sarà comunque e sempre navigazione a vista.
Ci sono le attese che neanche lo sapevi che lo stavi aspettando ma adesso lo sai.
Ci sono le attese in cui tu hai preparato tutto, adesso puoi sederti, prendere un libro e far passare il tempo.
Ci sono le attese che tu hai messo giù i semi ma i tuoi tempi non sono quelli del seme e passi ogni due ore a controllare se qualcosa è germogliato.
Ci sono le attese che “la pentola osservata non bolle mai”.
Ci sono le attese che per non farle sembrare tali ti trasformi in una trottola che poi, quando ti fermi, ti gira la testa, hai la nausea e quello che aspettavi ti sta guardando con uno sguardo vagamente disgustato.
Ci sono le attese in cui hai mollato tutto perché qualcosa deve cambiare ma l’intervallo tra “il prima” ed il “dopo” non sembra finire mai e, mentre ti chiedi cosa puoi fare è già dopo (ma sembra passato un secolo)
Ci sono le attese che ti sfibrano stancandoti più di qualsiasi lavoro.
Ci sono le attese che ti offrono l’occasione di provare altro.
Forse ci sono attese che sono “intervalli” ed attese che sono “lavori”.
Da mesi ho la sensazione di essere finito in un’attesa che è lavoro.
Il lavoro di attendere.
Siamo fermi. Io, Noemi, e il piccolo “sto sviluppando una mia personalità e non vi piacerà” rampollo di casa. Il resto va avanti… la gallina è diventata mamma, le api (nel loro modo) anche, quell’abbandono di micro orto che copre un’aiuola in giardino cresce, si semina, si bagna… si fa i fatti suoi quasi non visto e non notato nella frenesia che ha mi ha coinvolto nel tentativo di “ingannare” l’attesa, di evitare questo lavoro.
Fortunatamente mi è stata data la possibilità di evitarlo correndo su e giù, incontrando persone e realtà. Tre anni e passa a “curare il proprio orticello”, comunicando quasi esclusivamente in forma digitale iniziava ad avere un vago sapore di limite.
Ok… la comunicazione digitale ne ha un po’ risentito e chiedo scusa a tutti quelli a cui ho dato (sto dando) risposte sommarie o di cui ho perso traccia delle mail e a tutti quelli che si aspettavano post logorroici e deliranti sulle basi di scambio, l’arte della guerra di Sun Tzu, le consociazioni delle brassicacee e la fisica di Star Trek.
Ma, contemporaneamente, vorrei ringraziare tutte le persone incontrate in questi mesi, con cui si è parlato, discusso, scambiato… in definitiva: ci si è allegramente contaminati.
Grazie a tutti, avete reso ricco ed interessante un spazio che sarebbe stato altrimenti “vuoto”, mi avete permesso di mettere in gioco in modo diretto e reale un “cambiamento” confrontandolo, cercandone i limiti, raccontandolo ed agendolo non più in una forma astratta, attraverso parole scritte ma attraverso il contatto diretto.
Grazie.
Stiamo ipotizzando uno spazio sufficientemente grande da potervi contenere tutti (o quasi… diciamo che si potranno organizzare dei turni 🙂 )… ma prima lo dovremo costruire!
Ah… quasi dimenticavo… mancano 2 giorni…
Chiacchere al bancone