
Di ritorno dalla due giorni di Lasagna Gardening nei dintorni di Verona.
Una scusa come un’altra per viralizzare cambiamenti.
Percorrere la A4 su un autocarro VW dell’82 può essere eterno, soprattutto in una notte piovosa di fine Marzo.
Matteo fa da copilota mentre scorriamo le immagini più vivide che ci trasciniamo verso Ovest:
Dormire nella casa di paglia di Riccardo e Nico.
La vista sulla valle con i suoi boschi di castagni e noci.
Le frequenti digressioni “fuori tema” sulla microbiologia del suolo, la gestione naturale delle acque, il forest gardening, l’agricoltura urbana…
La festa della semina “selvaggia” che si è innescata alla fine della realizzazione dell’orto.
I bambini.
E’ tardi. Il Carro è monolitico nel suo incedere e il tamburellare della pioggia sulla capote stordirebbe anche un bisonte in benzedrina.
Non è un buon periodo per andare in giro a chiacchierare e a fare corsi, con la casa da costruire e le coltivazioni da impiantare, ma alla fine… siamo ancora nella fase “attesa” e può essere sempre una possibilità per innescare cambiamenti. Visti i tempi…
Intanto i lavori “personali” proseguo nel classico clima primaverile composto da frazioni di sole miste a piogge più o meno torrenziali. L’acqua, combinata con una temperatura media di 12°-15° è il tempo migliore per la prossima esplosione vegetale. Mortale per me che mi faccio nuovamente ospitare, a giorni alterni, dalla biblioteca di Ivrea…
In realtà, se non fosse che non amo trovarmi inzuppato, potrei tranquillamente lavorare nell’orto. L’ho già fatto durante l’inverno.
In effetti, per quest’orto, ho applicato una delle mie massime preferite: “le cose si fanno secondo le regole, a meno che non si possa fare diversamente”.
E quindi, eccolo qui il nuovo orto, simile nel concetto di base a quello realizzato a Badia Calavena.
Un mix di lasagna gardening, hugelkultur, biointensivo, agricoltura sinergica e chi più ne ha più ne metta. Giusto per essere scomunicato da qualsiasi “Scuola” agricola si aggiri nel panorama mondiale…
Già ero un permacultore “abusivo”, ora sarò anche un sinergico “abusivo”.
Etichette… ci si stanca in fretta… e le mie idee sulla differenza tra tecnica, progettazione ed ideologia le ho già espresse.
Ci sono due occasioni in cui non applicherei alla lettera l’agricoltura sinergica ma darei spazio a “Variazioni sul Tema”
Il primo è quando la terra è ridotta veramente troppo male ed io non ho il tempo per ricondurre il tutto ad una situazione ideale (si dovrà pur mangiare durante il cantiere).
Il secondo è quando la terra è talmente sana e brulicante di vita che qualsiasi cosa altra dallo sdraiarmi per terra a fare un po’ di cloudspotting, sarebbe una bestemmia.
San Culino, il protettore degli indolenti, ha fatto sì che io ricadessi nella seconda categoria.
L’orto è quindi così composto:
Leggero passaggio per smuovere lo strato di erba del prato.
Spesso strato di cartoni per fermare le spontanee più aggressive e fornire un substrato per lombrichi e funghi
Tronchi di pioppo*
Cippato (dei rami piccoli del pioppo)
Letame di cavallo stagionato (poco… letame. Non la stagionatura…)**
Carbone***
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La griglia che si può vedere nelle foto è un esperimento che sto facendo quindi, per ora, non fateci caso. Ne tratteremo approfonditamente più avanti o a giugno quando torneremo da Riccardo.
Le dimensioni sono leggermente più grandi del normale 1,70 m per 6 m ma credo che i prossimi saranno larghi 1,50… oppure 1,80… non so… devo ancora decidere…
Quello che so è che adesso devo selezionare i ceppi di microorganismi dalla zona circostante per inoculare le pagnotte.
Ma questa è un’altra storia che coinvolgerà del riso, del malto, qualche asse di legno, l’occhio disgustato di Noemi e la speranza dei marmocchi di riuscire a vedere “mostri mucillagginosi”.
In ogni caso, come al solito, non mi sono inventato nulla.
Mi sono limitato a scopiazzare di qui e di là, a mischiare tutto e a trarne la mia personale interpretazione con ciò che trovavo a portata di mano.
Un ringraziamento va al nostro uomo in terra di Francia (Medo) e “Au Petit Colibrì”
Qui e Qui un paio di schemi illustrativi del principio da cui sono partito.
Sono in francese… così Renato non potrà più dire che sono troppo anglofono per i suoi gusti 😉
*Il fatto è che sulla sinistra della casa c’era quest’enorme pioppo di 35 anni. Una sorta di Moby Dick vegetale. Ora, voi immaginate cosa può essere un pioppo che, durante uno dei numerosi temporali estivi e non che battono il piccolo anfiteatro morenico, pompa linfa a 16 metri di altezza mettendo praticamente in comunicazione la falda sottostante con l’elettricità statica nell’aria… il numero di cicatrici da fulmine era lo stesso del succitato leviatano.
S’è optato per l’abbattimento e il riciclo in loco… per chi avesse letto il capolavoro di Melville, la lavorazione è stata molto simile a quella subita dalle balene subito dopo la cattura nel libro… un gran casino di cui non si butta via nulla, circondati non dagli squali ma da migliaia di insetti e funghi pronti a banchettare… e, in effetti, stanno banchettando… mors sua, vita loro…
**Si, lo so, non si dovrebbe fare. Ma avevamo bisogno di parecchia materia organica sia azotata che a base di carbonio ed il panettiere c’ha sto cavallone infernale a due passi dal campo che ancora un po’ se lo porta a dormire a casa… e poi, devo pur decomporli i tronchi.
Mettiamola così: è come fare il pane. Il principio è quello di creare un impasto ricco ed utilizzare il terreno sottostante come lievito… un po’ come quando si aggiunge una cucchiaiata di malto per rinfrescare la pasta madre nella panificazione. Ci vorranno anche ‘sto miliardo di anni prima che tutto si riallinei e ribilanci in maniera perfetta e sana, ma io non ho fretta.
***Per l’esattezza il famoso e famigerato biochar, fatto in una fornace non particolarmente efficiente ma abbastanza ruspante da poter essere abbandonata in un campo senza che nessuno passi e se la porti via. Il carbone non è stato trattato (nessun compostaggio, nessun bagno in compost tea…) come si sarebbe dovuto fare. Infatti, il carbone non trattato, agisce come una spugna sottraendo acqua e nutrienti al terreno ma, in questo caso, si voleva ottenere proprio quel risultato: assorbire l’umidità ed i composti chimici in eccesso diventando nicchia ambientale a lungo termine per funghi, batteri e compagnia bella e scorta per i tempi duri stabilizzando la situazione e devitando percolazioni e dilavamenti vari… Il carbone è stato fatto sempre con il suddetto pioppo che era – è tutt’ora – bello grosso… il ceppo sta diventando la più grossa coltivazione di funghi che abbia mai realizzato. Attualmente ospita 200 spine in legno inoculate.
No, non è per vendicarmi di quelli che mi sono caduti in testa.
Avessi voluto vendicarmi l’avrei venduto per farne carta per la prima pagina de “Il Giornale”…
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Chiacchere al bancone