Ho due dipendenze. Il caffè e la nicotina. Questo esclude il fatto che io ad un certo punto possa riprendermi, sono così di natura non perché sotto l’effetto di agenti psicotropi.
Con sommo scorno di Noemi, che comunque lo sapeva anche prima di sposarmi…
La questione è che queste due dipendenze, come ci si aspetta dalle dipendenze, sono portate a “struttura”. Fumo dopo un caffè, quindi sono.
Ovvio che quando leggo cose come questa di blog52 sul caffè o questa di Upuaut sul polonio nella coltivazione del tabacco, le ginocchia mi cedono leggermente.
Per quel che riguarda il caffè lo scenario è da post catastrofe, quindi ho ancora un po’ di tempo, ma il polonio nel tabacco…
Capiamoci, il fumo non è un’attività difendibile.
Già nel 1604, in Inghilterra, re Giacomo I (uno con l’hobby di bruciar streghe) pubblicava la sua INVETTIVA condannando l’usanza del fumare.
“Quale onore o condotta possono indurci a imitare le maniere barbare e bestiali di indiani primitivi, ignobili e senza dio, specialmente in un costume tanto vile e puzzolente? […] Perché non li imitiamo anche mettendoci a camminare nudi come fanno loro? Preferendo le perline di vetro, le piume, e altre simili sciocchezze, all’oro e alle pietre preziose, come fanno loro? Perché non rinneghiamo Dio e adoriamo il Diavolo come fanno loro […] Un costume disgustoso per gli occhi, odioso per il naso, dannoso per il cervello, pericoloso per i polmoni, e nel suo nero e puteolente vapore, somigliantissimo all’orribile fumo stigio dell’abisso infernale”.
Secondo Richard Klein, autore di Seduzione della sigaretta (1993),
“L’introduzione del tabacco in Europa nel XVI secolo corrispose all’avvento dell’Età dell’Ansia […] ed alla conseguente perdita delle certezze teologiche medievali.”
“Il momento in cui si fuma una sigaretta consente di aprire una parentesi nel tempo dell’ordinaria esperienza, uno spazio e un tempo di attenzione più intensa che dà origine a un sentimento di trascendenza evocato attraverso il rituale del fuoco, del fumo, della brace unita alla mano, ai polmoni, al respiro, alla bocca. Esso procura un piccolo afflusso di infinità che altera – quantunque in misura minima – le prospettive e ci consente – pur se per un breve tempo – un estatico distacco da noi stessi.”
Più prosaicamente, e cinicamente, Barbara Ehrenreich in Una paga da fame ne dà questa definizione:
“Lavorare è ciò che fai per gli altri; fumare è ciò che fai per te. Strano che i promotori delle campagne contro il fumo non abbiano colto l’elemento di auto-maternage che lega questo vizio alle sue vittime: è come se, nei posti di lavoro americani, l’unica proprietà indiscussa del lavoratore siano il tumore alle vie respiratorie e i momenti liberi dedicati al suo accadimento”
Tom Hodgkinson, dal cui libro L’ozio come stile di vita sono tratte queste citazioni, sostiene comunque che:
“In effetti il fumo ha la funzione che dovrebbe avere la grande satira: conforta l’afflitto ed affligge l’agiato. Il virtuoso lo odia; gli opinionisti liberali ancora si domandano perché i poveri sprechino le loro misere risorse per fumare, senza comprendere che in realtà il fumo rende la loro vita degna di essere vissuta. L’oppresso lo ama. […] Noi fumatori dovremmo acquistare fez e smoking. Dovremmo arrotolarci le nostre sigarette. Per farla breve dovremmo celebrare il fumo, rimuovere i sensi di colpa che lo circondano. Potremmo scoprire, paradossalmente, che se facessimo così fumeremmo meno. La libertà porta responsabilità.”
Ma, scavalcati i problemi “morali” e riunitisi in pace alla propria sigaretta Upuaut ci inserisce la coscienza di un problematica non solvibile con la dialettica e l’esilio volontario sul balcone a -10° in inverno e +40° in estate.
Il problema è lo stesso di sempre, la coltivazione massificata porta a stravolgimenti e danni.
Eppure il tabacco ha una sua profonda storia di civile e sostenibile coltivazione (per quanto in ambito di agricoltura organica vi sia un grosso dibattito su se abbia senso coltivare in maniera biologica qualcosa che non può, per definizione, essere sano…) ne sono prova personaggi come Wendell Berry (conosciuto soprattutto per il suo “manifesto del contadino impazzito” un po’ meno per le sue posizioni da conservatore ed antiabortista, ma si sa… i radical sono difficilmente inquadrabili, un secondo prima sono anarchici il secondo dopo sono degli ultranazionalisti), coltivatore di tabacco cosciente dell’importanza sociale della coltivazione su piccola scala o come le testimonianze portate da Ste di vogliaditerra.
Detto questo… mi rimane da studiare come le concimazioni sedimentino nel tabacco in forma di polonio.
Ed aggiungo il tassello ad un nutrito numero di altri tasselli che mi spingono a cercare di coltivare concimando il meno possibile…
Vado a bermi un caffè e a farmi una sigaretta…
…per favore: non abbinatemi la coltivazione del tabacco a quella della cannabis, dei papaveri da oppio o dei funghetti trallalà… pena il rimbalzo su tutto ciò che crea dipendenza fisica o psicologica cacao, fragole, lamponi e nel caso di mio figlio i pisellini freschi appena raccolti…
Aggiornamento: leggo questo articolo del New York Times (oddio, una fonte come un’altra…) e penso: il tabacco è una solanacea come i pomodori, le melanzane ecc… ecc…, il polonio probabilmente presente naturalmente nel terreno viene assorbito dalla pianta “legandosi” ai concimi “iperfosfati”. La tecnica delle concimazioni iperfosfatiche riguarda tutta l’agricoltura, non solo quella del tabacco.
Polonio nei “cuori di bue”?
No, così, per andare a dormire tutti più tranquilli, non solo i fumatori! 🙂
PS. – il post di Upuaut e ottimo… il mio è degno di “Strange days”: “la paranoia è la realtà vista su una scala di misura più piccola…” 🙂
PPS. – e comunque ad essere paranoici non si casca troppo lontano… qui un’articolo con molti link sui problemi dati dalle concimazioni fosfatiche (ammesse anche in agricoltura bio a quanto io ne sappia…)
Un’altro paio di link interessanti:
Fosforo: il cerchio da chiudere
Crisi alimentare, fosforo e concimi rincarano più del petrolio
Chiacchere al bancone