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21
Feb
10

Fenologia per teste di sasso

Oggi non è oggi. Oggi è venerdì scorso.
Sono in piedi, sotto la pioggia, nel parco di una villa d’impianto secentesco su un colle di Varese. L’amica che mi ha invitato li mi sta spiegando cosa e come vorrebbe farlo.
Sinceramente, mi spiace, ma non la sto ascoltando. Quanto meno, non in maniera conscia.
Sto ascoltando la pioggia che mi inzuppa mentre guardo un albero che avrà almeno un 200 anni. Non ho la più pallida idea di che albero sia (lei me lo sta sicuramente dicendo) e neanche mi interessa. Saperne il nome non cambierebbe di molto l’esperienza.
Avete presente quei fricchettoni che abbracciano gli alberi? Sono in imbarazzo. Avrei voglia di abbracciarlo.
E’ uno di quegli alberi con un tronco impressionante ed una rete di radici superficiale che rende il terreno, sotto la chioma, un frastagliarsi di onde lignee.
In realtà non è che mi freghi un granché di abbracciarlo. Ma è uno di quegli alberi con enormi rami che passano rasi al terreno, rami grossi come una mia coscia (due, visto che sono un po’ secco). Il pattern evolutivo dei rami genera una spirale ascendente di enormi braccia.
Ecco, non vorrei abbracciarlo. Vorrei arrampicarmici sopra. Sembra una roba così semplice. Ma non posso, sono qui per ascoltare, e poi continua a piovere.

E’ una pioggia strana. Grosse gocce lente e fitte. Non da fastidio fino a quando non sei completamente zuppo e ti rendi conto che domani sarai a pezzi, con uno dei peggiori attacchi di sinusite degli ultimi 4 anni. La cosa più strana è che è calda. Probabilmente il risultato dello scontro tra una corrente calda umida e ciò che rimane dell’aria fredda invernale. Definitivamente, non una pioggia da inverno… quasi primaverile.
E l’albero lo sa. Sta già lavorando alle sue gemme. Quindi non è un sempreverde.
Faccio dei piccoli ma inesorabili passi avanti nelle mie competenze in fatto di botanica…

Oggi non è oggi. Oggi è giovedì scorso.
C’è il sole. Anche i ghiacci che hanno coperto la ghiaia del cortile per tutto l’inverno (esposizione a nord) sembrano ammorbidirsi. Ma è solo un’illusione e, se per sbaglio scivoli, fai in fretta ad accorgertene.
Non ho la più pallida idea di come le api abbiano passato l’inverno. La sensazione è che la colonia che reputavo più debole e con meno scorte l’abbia sfangata meglio dell’altra che, per ora, non da segni di vita.
Ape che esce.
I -16° di dicembre devono aver picchiato un po’ duro sulle signorine ed il rischio di aver perso una famiglia è più che un’ipotesi anche se conviene aspettare ancora un po’ prima di aprire l’arnia.
Ape che rientra.
Mi siedo a fumare una sigaretta sul terrazzo al sole, di fianco a me l’arnia da cui nei giorni scorsi usciva, di tanto in tanto, un’ape con la vescica a pezzi per il lungo inverno in clausura. (Non parcheggiate mai la macchina nei pressi di un’arnia alla fine dell’inverno. E’ un consiglio.)
Ape che esce.
La giornata è tiepida ma si fa ancora fatica a stare seduti fermi senza tremare.
Ape che rientra.
La guardo. Polline? Polline!
L’ape ha delle palline di polline grigio-azzurro sulle zampe (salice?).
Ecco, vedi? Io non capisco nulla di cicli naturali, manco mi ci metto. Per me fa freddo, punto. Ma le api no. E’ per questo che avevo deciso di accudirle.
L’equivalente del sedersi di fianco al primo della classe per copiare durante i compiti in classe. Perché uno può avere tutti i calendari del mondo, guardare le lune, copiare cosa fa la satanica vecchietta di 90 anni, segnarsi tutte le tacche del termometro per settimane ma nessuno di loro sarà mai in grado di dirti che la temperatura media è finalmente di 10°-12° e puoi seminare tranquillamente in pieno campo. Almeno qui da noi.

PS. – Meristemi ha un succoso articolo sulla dipendenza da alcaloidi delle api. Tra i compound preferiti anche la caffeina e la nicotina… se cazzeggiassero un po’ di più potrei ipotizzare una mia parentela!




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