Posts Tagged ‘Terra Preta

12
Nov
08

diario di campagna n°211

San Martino.
Mi sveglio, preparo il caffè.
Fuori: nebbia.
Sistemo il pupo che Noemi accompagnerà a scuola.
Il sole filtra attraverso la spessa coltre di vapore. Sembra di essere in discoteca, a chiusura, dopo l’intensivo utilizzo delle smoke machines, quando accendono tutte le luci per andare a caccia di bottiglie vuote e giubbotti dispersi… no, bhè, è meglio di così… ma non troppo…

San Martino.
Qui è tempo di bilanci e di impianti per l’anno prossimo.
La struttura dell’orto è risultata assolutamente efficace dandoci da mangiare da aprile (l’orto è stato impiantato a marzo) fino ad oggi, e pare intenzionato a proseguire con alcune chicche per buona parte dell’inverno. Lavorazioni dall’impianto ad oggi ZERO, diserbo come attività-scusa per fumare una sigaretta in pace pensando ai casi propri, costo di impianto (compresa irrigazione spartana mai usata e semi) meno di 100€, tempo medio dedicato (contando la creazione dei letti e i trapianti) 1 oretta scarsa al giorno, niente concimi, niente antiparassitari… niente.
Difatti una delle cose più ardue con cui mi sono scontrato era la voglia di fare delle cose.
Credo capiti la stessa cosa alla vecchina che abita qui vicino… non è che abbia bisogno di sarchiare in continuazione, è che sennò si annoierebbe…

I polli, dopo una serie di traversie anche drammatiche (un virus ha sterminato un gallo e due pulcini, il tutto è poi rientrato grazie all’intervento di un amico veterinario omeopatico… manco sapevo che esistessero i veterinari omeopatici…) stanno bene e si stanno rimpinzando di proteine per sopportare l’inverno. La gallina sta rallentando con i ritmi di deposizione. Contando che per un mese si è messa in mutua ed ha iniziato a deporre a fine marzo, ad oggi ci ha regalato 134 uova (ma il conto è per difetto…). Grazie.

Ora si tratta di pensare cosa fare per l’anno prossimo.
Dopo l’ennesima richiesta per un progetto di agricoltura sostenibile fallito non per motivi legati al progetto stesso ma per cavilli personalistico-burocratici (chi abbia mai avuto a che fare con un certo tipo di coop. sociali o associazionismo saprà di cosa sto parlando…) mi sto convincendo che una situazione “instabile” alla fine dia più garanzie…
Motivo per cui sto buttando giù i progetti per l’anno prossimo (così, tanto per sapere cosa procrastinerò):

• Ampliamento e riprogettazione dell’orto
(sono attaccato ad una maledetta motozappa da due giorni)
• Costruzione di un nuovo pollaio combinato alla serra ed ad una compostiera.
• Realizzazione di una nuova fornace per biochar più efficiente

ps. – desolato non sono ancora riuscito a impostare la soluzione ai titoli “criptici”

15
Set
08

diario di campagna n°169

Ah! Le madeleines di Proust!
Fumando come un turco (soprattutto da quando ho smesso di dover assaggiare vini…) su di me hanno un effetto relativo: ho incenerito le papille gustative sull’altare della nicotina. In questo patto demoniaco ho guadagnato però un meccanismo similare con le parole. D’altro canto anche J. M. Barrie (avete presente Peter Pan?) vantava le qualità “spirituali” del fumo nel suo bellissimo “My Lady Nicotine”

Trascinato da questo post, e dalle prime giornate fredde ed uggiose, mi rimetto a leggere un po’ di articoli sul biochar e la terra preta. Uno che, finalmente, ipotizza un Picco del Suolo dalla rete di The Oil Drum (l’incontro internazionale IBI di Newcastle sta ottenendo dei risultati sulla comunicazione) ed uno fortemente contrario della Global Forest Coalition (via eGov monitor).
Per la prima volta, in un’altro articolo collegato, sento parlare di MEGO – My Eyes Glaze Over (in italiano sarebbe traducibile con SOV – Sindrome da Occhio Vitreo) come la reazione alla divulgazione di informazioni non gradite o carenti di un côté sexy. Questa situazione si presenta con maggiore frequenza di fronte a notizie di stampo ecologico-ambientale tipo: la sindrome da collasso delle colonie di api (CCD), il picco del petrolio, la desertificazione dei suoli agricoli europei…

Effetto madeleine:
Un anno fa.
Sera.
Interno.

Una cena di famiglia, mi tocca il posto davanti ad un fidanzato di una cugina di qualcuno.
Lui – …ma spiegami un po’, in cosa consiste il tipo di agricoltura che stai studiando?
Io – Sono tecniche rigenerative della fertilità del suolo, lo scopo e quello di frenare il progressivo impoverimento delle aree coltivabili.
(Ora posso dare un nome trendy a ciò con cui mi sto confrontando: MEGO. Questa volta dura poco.)
Lui (recupera in maniera rocambolesca un appiglio celebrale) – Mio padre aveva un orto spettacolare.
Io – Bene. (Ti ho offerto un’uscita… esci…)
Lui (evidentemente si vuole del male) – Si, ma adesso non si riesce più a far crescere niente senza concimi, chimica…
(Lui è un impiegato amministrativo, vive in un appartamento senza balconi al terzo piano di una casa in centro città, presenza di vegetali: zero se si esclude la ruchetta per la bresaola in frigo)
Io – Pare sia un progressivo effetto di desertificazione dovuto principalmente ad un uso scorretto dell’acqua e dei concimi…
(secondo MEGO, dura di più, si può sentire il mare nello spazio tra un orecchio e l’altro, capita la stessa cosa a mio figlio grande quando deve risolvere un problema di matematica. Sottovuotospinto. Una forma di zen dell’autoincoscienza. )
Lui (recupera, ma né io né lui sapremo mai come è potuto arrivare a tanto) – Si, no, questa è una balla! Io ci sono stato nel deserto, ti ricordi cara? Eravamo in vacanza in Marocco, nel deserto ci sono le dune ed un sacco di sabbia…

Considerazioni: se la cosa fosse stata spiegata in un’altra maniera poteva arrivare comunque? Il MEGO è colpa di chi comunica o di chi riceve? Bho?!
Mi accendo una sigaretta.

08
Lug
08

diario di campagna n°120

Eccoci qua.
Ha piovuto, ha piovuto, ha piovuto e poi ha piovuto ancora un po’. E già che qui da noi l’umidità non manca.
Non sarà quindi una sorpresa per nessuno scoprire che il 99% dei pomodori in zona sono stati colpiti dalla peronospora… come l’anno prima, e quello prima.
Per riprendere il post precedente potrei dire che è un problema collegato alla sistematica distruzione della fertilità dei terreni e la rottura dei processi naturali (si diceva ben che il ciclo ossigeno etilene serve, probabilmente, anche a tenere a bada l’esagerata proliferazione di virus e batteri nocivi…).

Potrei supporre che tra tre, quattro anni il terreno del mio orto sarà sufficientemente riequilibrato da gestire al meglio le situazioni di stress (anche se il contesto circostante continuerebbe a “premere” ai confini). Potrei, allo stesso modo, supporre di poter preservare i semi delle piante non colpite in modo da preservare cultivar più resistenti… e lo farò… ma intanto adesso buona parte delle piante sono state attaccate.

Il trattamento preventivo utilizzato l’anno scorso a base di acqua e bicarbonato [ref. ATTRA] quest’anno è risultato assolutamente inutile. Veniva tutto dilavato dall’acquazzone notturno.
La soluzione di applicare etanolo ricavato dalle foglie di patata [ref. PFAFref. GoogleLibri(incompleto)] non mi garbava particolarmente. Se devo consumare energie, preferisco che sia per avere più prodotti, a basso costo (energetico, economico, di tempo ecc…) e contemporaneamente.

Uno dei prodotti “naturali” che pare avere ottimi effetti sulle infezioni virali, parassiti e muffe è l’acido piroleico o aceto di legna, uno dei sottoprodotti del processo di produzione del biochar.
Mettendo da parte indugi vari mi sono quindi montato una “fornace” sperimentale.

Il progetto ed il design sono molto cialtrone-style ma come esperimento è risultato assolutamente efficace.
Il tutto è stato montato in mezza giornata (il più del tempo impiegato a trovare il pezzo giusto) e a costo zero, utilizzando “urbanite” (gli scarti del cantiere abbandonato “Salerno-Reggio Calabria” che compongono ¾ dell’edificio in cui sono in affitto). Il risultato è stato: un secchiello di biochar per realizzare un semenzaio sperimentale ed un litro abbondante di aceto di legna grezzo.
L’aceto di legna ora dovrà decantare per un po’ in modo da separare i vari composti (catrame, aceto ecc…), temo quindi che risulterà tardivo come intervento.

Uso della Fornace
Acceso il fuoco all’interno della fornace lo si lascia ardere per 30-40 min.
Quando tutta la legna sta bruciando si sigilla lo sportello frontale e la canna fumaria principale.
L’aceto grezzo inizia a percolare dallo sfiato laterale quasi immediatamente.
[ref. Busy, busy, busy…, ref. articolo]

I PRO –
Facilità ed economicità di costruzione: chiunque può costruirsi la propria micro-fornace.
Basso impatto ambientale: si possono utilizzare le potature degli alberi e tutti gli altri arbusti che andrebbero altrimenti tritati per poterli compostare. Se il biochar viene utilizzato come pacciamatura, come addizione al compost o direttamente nel terreno diventa addirittura una pratica a sequestro di carbonio. [ref Biochar]
Plurifunzionalità: si possono ottenere più prodotti, in questo caso aceto di legna e biochar, ma con progetti leggermente diversi i prodotti possono anche essere di più

I CONTRO –
Il fumo – questo tipo di fornace emette molto fumo e per molto tempo (10 – 12 ore), quelle a fiamma “ritorta”, bruciando i gas emessi dalla pirolisi ne emettono molti meno (paragonabili ad un barbeque mentre lo si accende)
La struttura cialtrona – Dopo un’intera notte a “bruciare” è ovviamente collassata, l’ideale sarebbe poter interrare il fusto così da poter sigillare meglio lo sportello garantendo un minor ingresso di ossigeno. Cosa che nel mio caso non ho potuto fare tant’è che la produzione di carbone è stata relativamente bassa…

Ben venuti in Thailandia!

10
Giu
08

diario di campagna n°107

LA TRADUZIONE DELLA FAQ sul biochar è stata finalmente ultimata. Abbiate pietà per la pessima traduzione, il mio inglese è decisamente maccheronico e non essendo un tecnico un sacco di dati sono tradotti in maniera quasi letterale. Comunque meglio di Babelfish!
La FAQ è un work in progress che Philip Small porta avanti da diverso tempo raccogliendo le informazioni man mano che arrivano (il biochar è attualmente terreno d’indagine e le certezze sono ben poche).
In ogni caso:
Qui la traduzione
Qui l’originale (altamente consigliato per tenersi aggiornati.)

Per finire vorrei ringraziare lo stesso Philip Small per il lavoro che sta facendo e per avermi permesso di compierne uno scempio traducendolo!

I’ve just finished the “Gardening with biochar FAQ” translation. Please be charitable, my English knowledge is awful and I’m not a technician, that’s mean that some terms may be literally translated in Italian. Anyway, better than Babelfish!
The FAQ is a work in progress by Philip Small; he works on it since quite time collecting information as they arrive. (Interest in biochar study is pretty new and there are few certainties).
Anyway:
Here the translation
Here the original pages

In the end I would like to thanks Philip Small’s work and for letting me mess it around with this translation! Thank Mr. Small!

29
Mag
08

diario di campagna n°97

TERRA PRETA 2 – Il ritorno del biochar

HA PIOVUTO. A lungo ed ininterrottamente. Questo mi ha permesso di rimanere in casa a sfornare pagnotte, a fare dropspotting seduto sul gradino del balcone sul retro, bere tazze di caffè alla finestra, a leggere e a delirare (vedi post precedente).
Tra le varie letture ho ripescato gli articoli sulla Terra Preta do indios Amazzonica.
Come già detto, la Terra Preta è una tipologia di suolo tipica di alcune zone della foresta amazzonica, caratterizza da un’altissima concentrazione di carbone (biochar), frammenti di ossa e di argilla. Il fenomeno è ancora oggetto di studio (anche se alcuni furboni la stanno già commercializzando) mi pare siano infatti ancora da stabilire alcune questioni su dei micro batteri specifici e roba del genere.

ALDILÀ DELL’EVIDENTE esotismo della storia (popolazioni precolombiane che rendono fertili intere zone di foresta amazzonica creando una matrioska di paradisi vegetali) trovo interessante la sua applicazione in un contesto di “agricoltura naturale” su piccola scala. Negli States, dove vengono date sovvenzioni economiche a chi applica tecniche a sequestro di CO2, sta diventando popolare anche sull’agricoltura industriale.

DISCLAIMER: non sono un tecnico questa è la mia personale estrapolazione da un tot di letture

IN AGRICOLTURA NATURALE l’obbiettivo è quello di riportare ad uno stato di “autofertilità” la terra. Per ottenere questo si applicano una serie di interventi atti a riequilibrarne la struttura minimizzando gli interventi umani. Tra le cose che si deve evitare (e questo suonerà come eresia ad un orticultore classico) c’è il concimare, in quanto, apporti eccessivi di nutrienti, sono in grado di danneggiare la “tessitura” stessa del suolo. In realtà, attraverso una pacciamatura vegetale permanente e la non estirpazione delle radici; una concimazione avviene comunque ma in maniera naturalmente bilanciata.

IL PROBLEMA PRINCIPALE risiede nei tempi di riorganizzazione dei processi naturali. In generale i terreni su cui ci si trova ad impiantare il ns. orticello di sussistenza sono terreni altamente impoveriti (il giardino di casa, un’ex campo a coltivazione intensiva…). In alcuni casi anche l’orto coltivato in maniera classica, esempio della più intensa “fertilità casalinga”, può essere considerato “terreno impoverito” in quanto dipendente da concimazioni annuali (probabilmente se dal giorno alla notte si smettesse di concimare, il suolo ci metterebbe un po’ a ristabilirsi)

IN QUESTO SENSO la Terra Preta può essere una risorsa interessante. Difatti non si tratta strettamente di un concime. Il biochar ottenuto bruciando biomasse (potature di alberi, ramaglie raccolte nel bosco…) in quasi totale assenza di ossigeno (pirolisi) è un’inerte non aggiunge granché al terreno al massimo ne modifica leggermente il Ph (e questa è una cosa a cui bisogna prestare un minimo di attenzione). Ma la porosità stessa del carbone crea l’ambiente ideale per i processi rigenerativi del terreno. Difatti il biochar è in grado di trattenere sostanze gassose, minerali, acqua e rilasciarle lentamente secondo la necessità delle piante evitando un eccessivo dilavamento dei nutrienti. Crea il microambiente ideale per lo sviluppo delle colonie batteriche atte ai processi di fissaggio e modifica dell’azoto e di altre sostanze fondamentali. Inoltre la capacità di accumulare CO2 stimola la produzione di glomalina (un vinavil fondamentale per le riserve di nutrienti).

L’autoproduzione di biochar è elementare e priva di rischi, non richiede tecnologie complesse e coinvolge “scarti” (ramaglie e quant’altro). In più permette di andare in giro bullandosi con gli amici per il proprio orto a sequestro di gas serra. C’è chi c’ha l’auto catalitica, c’e chi c’ha l’orto!

PS. A giudicare dagli accessi, alcune postazioni universitarie si sono collegate al blog dal primo post sulla terra preta… abbiate pietà di me (diplomato liceo linguistico….). Se ho detto delle vaccate enormi correggetemi! Ma soprattutto siete formalmente invitati a partecipare alla discussione!

FONTI ed APPROFONDIMENTI
Articolo su Nature magazine
Articolo sulla Glomalina dell’USDA
Studio italiano sulla glomalina presentato al 14° Congresso della Società Italiana di Ecologia
Sito Bioenergylist sulla Terra Preta (tutte le risorse possibili)
Wiki sull’utilizzo del biochar nell’orto (tanto per cambiare… in inglese… come sempre…)

12
Mag
08

diario di campagna n°82

TERRA PRETA E ACETO DI LEGNA

GIORNATA DA SEGNARE sul calendario. Sono comparsi i primi temporali quasi estivi.
Detto questo, essendo io più ferrato sulle predizioni del mago Otelma che non sulle previsioni meteo, non pioverà più per mesi… Poi, detto sinceramente, li si è visti solo passare. Uno a destra ed uno a sinistra, da noi, niente. Giusto due gocce tanto per vivacizzare la colonia di lumaconi mutanti che vive sulle sponde del canale. Ne sono stati deportati due barattoli fino alla pozza “da lettura” a 300 metri da casa, ambiente umido, erbetta fresca, qualche predatore. Credo che gli piacerà.
A parte questa botta di vita, la giornata è stata un simpatico weekend di svacco e pranzo con gli amici.
Cosa che mi ha dato il tempo di riflettere e lavorare su un articolo inviatomi da un amico non presente al pranzo.

L’ARGOMENTO E’ affascinante e apparentemente complesso. Un po’ come i belli e tenebrosi, dal viso vissuto e dall’occhio glauco che poi sono dei periti geometra e guardano “Amici” di Maria de Filippi. (questa lo messa solo per fare tag e vedere cosa succede… sono stronzo? si, un po’)
Comunque sono coinvolte tecniche di distillazione thailandesi, fornaci, gli indios pre-conquistadores, tecniche di coltivazione rigenerative, il CO2 ed i gusci di tartaruga. C’è di che farne un romanzo di Jules Verne o Salgari (che a mia sorella ci piace di più).
In realtà e tutto molto più semplice.

QUESTO MIO AMICO, agricoltore sinergico di lunga ed affermata esperienza (tiene corsi, laboratori e quant’altro) mi ha inviato un ‘articolo in inglese su un sistema di distillazione per “l’aceto di legna”. Passatemi il termine poiché in italiano non ho trovato nessuna informazione e quindi l’ho tradotto letteralmente, anzi se qualcuno ne sa di più…
L’aceto di legna si ottiene attraverso la condensazione dei fumi nella produzione per pirolisi (in assenza di ossigeno) di carbone (qui l’articolo tradotto da me) e pare che sia una meraviglia per il trattamento delle piante e non solo, essendo anche un potente antisettico, funziona benissimo come disinfettante cutaneo e facilita la cicatrizzazione dei tessuti. La cosa, a mio parere più interessante, è che non necessita di chissà quali complessi macchinari per realizzarlo (sottointeso: per orti e frutteti di una certa dimensione, se conduco un ottimo progetto di orto sul terrazzo, non ha molto senso) e pare essere un vero toccasana per moltissime infezioni ed infestazioni (oidio, cocciniglie, ruggine ecc…).
(qui il link a un blog di un tipo interessante che ne ha fatto l’esperienza, con belle foto… anche lui non è malaccio).

BENE; E QUESTA e la parte Thailandese, e tutto il resto?
Se per fare l’aceto di legna a me basta un fusto in metallo sepolto nella sabbia con un tubo di stufa montato sopra in cui butto un po’ di ramaglie recuperate in giro, sterpaglie, potature dei rami ecc… ecc… è anche vero che come mole di lavoro è un po’ tanta per un solo “prodotto”, per quanto se ne decantino meraviglie.
In realtà il prodotto principale della pirolisi è la carbonella, ma non quella che normalmente si compra per il barbecue con le salamelle. La carbonella che si ottiene in questo caso è più simile a “legno cotto al forno”, ossia mantiene ancora molti degli aspetti organolettici del vegetale (per dire: all’interno mantiene uno strato di oli che hanno lo stesso effetto del glucosio per lo sviluppo dei microrganismi) ed è la componente principale della Terra Preta, ossia la terra lavorata e coltivata dagli Indios prima che dei buzzurroni con i pidocchi andassero a proporgli “vantaggiosi scambi economico-culturali”.
Perché interessarsi della Terra Preta? Perchè è un’ammendante per il terreno eccezzionalmente stabile, in grado di sequestrare ed immagazzinare anidride carbonica agendo direttamente sul ciclo del carbonio ciclo del carbonio (che viene sequestrato nel sottosuolo) e da uno dei terreni naturalmente più fertili del mondo, nonché, probabilmente, anche quello del mio prossimo orto!

NON SONO STATO troppo chiaro? E che vi aspettate da un cialtrone! Io ho solo scelto di non pasticciare con l’Iphone nuovo ma con il fango! 🙂
Comunque qua ci son on po’ di link per fare chiarezza… a chi sa l’inglese (sigh!)
Se nel frattempo capitasse qualcuno da queste parti che ne sa di più (microbiologi, chimici ecc…) li prego da subito di contattarmi attraverso i commenti (così tutti possono leggere… siamo democratici, mica pippe!)
Saluti.

Terra Preta Home – La pagina di Johannes Lehmann, il primo che si è preso la briga di studiare il tutto, alla Cornell University
Un post interessante sul forum EnviroTalk Australia
Un articolo con numerosi link su WorldChanging
Uno da Energy Bulletin
Ed uno di Wired (ma tu pensa un po sti geek!)




L’ orto di carta

Diario di bordo ad aggiornamento casuale e saltuario di un cialtrone nell'orto... giocando con il fango, la permacultura, l'agricoltura sinergica in compagnia di William Cobbett, John Seymour, Fukuoka e Kropotkin.

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