
Sto pedalando verso casa. La nebbia ha la consistenza di una crema di piselli ma incredibilmente più fredda. Si appiccica sulla barba creando piccole gelide gocce che si infilano tra la sciarpa e il collo. Scorrono tra le clavicole, sullo sterno. Nella discesa, la temperatura del vapore acqueo condensato, aumenta diventando un fastidio sopportabile.
Acqua. Sto pedalando in un muro di acqua vaporizzata.
Mentre pedalo penso ancora ad una personale reazione alla privatizzazione dell’acqua. Alle possibili forme di hacking.
Oddio. Se la Nestlè (oltre ad aver già avuto in concessione buona parte delle sorgenti a prezzi ridicoli… quello era il vero furto…) decidesse di comprare quello scassone del depuratore di Rondissone e tutto l’impianto idrico del paese. Forse. E dico “forse”. Con un ipotetico aumento delle tariffe la gente la smetterebbe di sprecare ettolitri ed ettolitri d’acqua… Forse si porrebbe il problema di cosa vuol dire scaricare 25 litri d’acqua potabile giù per lo scarico del cesso ogni volta che ci butta un fazzoletto per il naso… ma non sarebbe corretto comunque.
Non ho modo di vederlo. Ha un giaccone color topo morto, i pantaloni verde fanghiglia ed un cappello che se non sapessi essere di lana potrebbe essere stato ricavato dalle cortecce delle gaggie.
Mi si para davanti. Siamo nel nulla intorno a casa, se passa qualcuno, hai 70 anni e non sei al bar in paese, lo fermi, tanto per ricordarti che il bar è una situazione dell’anima. Non un luogo.
Freno. O quella cosa che faccio normalmente per fermarmi rapidamente evitando i danni peggiori.
“Allora? Abbiamo iniziato ad aprire le conserve?”
Giulio ha un orto. Giulio, la prima volta che mi rivolse la parola fu per chiedermi se avevo un’insetticida per le lucertole. Il mio sguardo non bastò a spazzare via il bar. Il bar è una situazione dell’anima in loop solipsistico.
Giulio ha l’orto. Uno di quegli orti in cui la differenza la fa la quantità di conserve di pomodoro che ottieni. Conserve che rimarranno in garage/cantina fino a quando l’emergenza climatica non sarà più tale.
Giulio ha un orto di quelli “chi c’ha più conserve ce l’ha più lungo”.
Io odio fare le conserve, la passata di pomodoro è una di quelle cose che, a dispetto dell’amor patrio, non sopporto.
Questa discussione l’abbiamo già fatta. Loop solipsistico da bar.
“Si, Giulio”. Il resto è solo presenza. Ora sono due Loop solipsistici.
Lui che dimostra il suo valore a chili e barattoli. (Credo sia riuscito a dire quintale per qualcosa ma mi sono perso cosa fosse…)
Io che rimescolo le carte dei pensieri in un’enorme freecell mentale.
Io non ho tante conserve. Preferisco avere roba secca. Meno sbattimenti a preparare. Più facilità di stoccaggio, meno energie consumate…
I semi. Devo ricordarmi di risciacquare i semi che ho messo a germogliare. Lino, lenticchie qualche cecio ed il girasole. Questo è il mio equivalente dei pomodori di Giulio.
Non sono mai stato un fanatico dei germogli ma dopo il giro a Monteveglio, Davide, il “Nutrizionista Ufficiale della Transizione”, mi a messo un po’ di pulci nelle orecchie e, ha conti fatti, mi son detto che era sicuramente un buon modo per avere un’alimentazione sana e variata senza dover faticare troppo.
“I semi integrali sono già un miracolo di completezza in quanto sono dei nuovi individui e contengono il nutrimento che gli serve per un primo sviluppo. Il germoglio è qualche cosa di più, il seme contiene nutrienti ma è quiescente, fatto per resistere nel tempo, il germoglio è la partenza della vita, il materiale che contengono è lo stesso ma nel germoglio è trasformato.
Nel germoglio aumentano le vitamine, la disponibilità dei minerali e soprattutto calano o si azzerano i fattori antinutrizionali. Un paio di anni fa ho studiato con interesse i fattori antinutrizionali dei vegetali, i fitati per esempio sono uno dei sistemi di cui dispone la pianta per stoccare il fosforo. Per farlo lo lega a molecole di inositolo, un alcool esavalente ciclico, il risultato è quello di avere del fosforo che non disturba ed è rapidamente disponibile per il seme. Per noi è un fattore antinutizionale che chela durante la digestione il calcio, il ferro e lo zinco, principalmente, riducendone la disponibilità. Tra i vari modi di evitare tutto questo c’è la germinazione. Bastano 48 ore di ammollo per diminuire notevolmente i fitati e nel germoglio ce ne sono ancora meno. Il seme si sveglia e demolisce i fitati con degli enzimi, le fitasi, che liberano il fosforo che verrà usato dal germoglio per lo sviluppo.
Naturalmente altre sostanze vengono elaborate e scisse e quindi rese più digeribili come le proteine e i carboidrati che da amidi diventano maltosio…”
Davide dixit.
Ed in più non devi cuocere, sudare attaccato ad un fornello, pulire quintali di frutta e verdura. Oblomov in inverno.
Io uso il classico sistema del “barattolo”.

Prendi una manciata dei tuoi semi (tolti quelli da seminare il prossimo anno)
Li metti in un barattolo con dell’acqua
Li lasci lì per un po’ (da una notte ad un giorno intero)
Metti sul collo del barattolo una calza di nylon chiusa con un elastico
Ribalti il barattolo a testa in giù sullo scolapiatti.
Da qui in poi è solo un ricordarsi, tutte le mattine, di sciacquare i semi e rimetterli a scolare…
Tutte le mattine… una barattolata d’acqua…
Mi risveglio. Ho terminato il freecell.
Entro dentro il bar di Giulio, lo ribalto rompendo il loop, lo saluto (ricordandogli di salutare la sua signora) e pedalo a casa.
Ora.
L’idea non è originale. L’avevo vista su Instructables.com, ma era rimasta lì… inespressa.
Ora, per la bellezza di 3,00 € (il costo delle pinte da birra in plastica) il prototipo di implementazione del progetto di Instructables è pronto.
La mia prima fattoria indoor. Un cesso di fattoria.
Acqua, litri e litri di acqua che altrimenti scorrerebbero senza un’apparente giustificazione logica se non quella di spedire il più velocemente possibile un mio problema (smaltire la mia merda) a qualcun’altro. Acqua che sempre più si fa business “a perdere” che viene reindirizzata verso un utilizzo a “creare” . Un consumo che diventa produzione.
Proteine, minerali, carboidrati e vitamine in quantità eccessiva (almeno per il nostro consumo famigliare) generate da un movimento automatico ripetuto più e più volte in un giorno.
Non sono mai stato così contento di andare a cagare.
Ok. Il design è ancora un po’ grezzo… ma siamo ancora nella fase prototipale
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Chiacchere al bancone