Eccoci qua.
Ha piovuto, ha piovuto, ha piovuto e poi ha piovuto ancora un po’. E già che qui da noi l’umidità non manca.
Non sarà quindi una sorpresa per nessuno scoprire che il 99% dei pomodori in zona sono stati colpiti dalla peronospora… come l’anno prima, e quello prima.
Per riprendere il post precedente potrei dire che è un problema collegato alla sistematica distruzione della fertilità dei terreni e la rottura dei processi naturali (si diceva ben che il ciclo ossigeno etilene serve, probabilmente, anche a tenere a bada l’esagerata proliferazione di virus e batteri nocivi…).
Potrei supporre che tra tre, quattro anni il terreno del mio orto sarà sufficientemente riequilibrato da gestire al meglio le situazioni di stress (anche se il contesto circostante continuerebbe a “premere” ai confini). Potrei, allo stesso modo, supporre di poter preservare i semi delle piante non colpite in modo da preservare cultivar più resistenti… e lo farò… ma intanto adesso buona parte delle piante sono state attaccate.
Il trattamento preventivo utilizzato l’anno scorso a base di acqua e bicarbonato [ref. ATTRA] quest’anno è risultato assolutamente inutile. Veniva tutto dilavato dall’acquazzone notturno.
La soluzione di applicare etanolo ricavato dalle foglie di patata [ref. PFAF – ref. GoogleLibri(incompleto)] non mi garbava particolarmente. Se devo consumare energie, preferisco che sia per avere più prodotti, a basso costo (energetico, economico, di tempo ecc…) e contemporaneamente.
Uno dei prodotti “naturali” che pare avere ottimi effetti sulle infezioni virali, parassiti e muffe è l’acido piroleico o aceto di legna, uno dei sottoprodotti del processo di produzione del biochar.
Mettendo da parte indugi vari mi sono quindi montato una “fornace” sperimentale.
Il progetto ed il design sono molto cialtrone-style ma come esperimento è risultato assolutamente efficace.
Il tutto è stato montato in mezza giornata (il più del tempo impiegato a trovare il pezzo giusto) e a costo zero, utilizzando “urbanite” (gli scarti del cantiere abbandonato “Salerno-Reggio Calabria” che compongono ¾ dell’edificio in cui sono in affitto). Il risultato è stato: un secchiello di biochar per realizzare un semenzaio sperimentale ed un litro abbondante di aceto di legna grezzo.
L’aceto di legna ora dovrà decantare per un po’ in modo da separare i vari composti (catrame, aceto ecc…), temo quindi che risulterà tardivo come intervento.
Uso della Fornace
Acceso il fuoco all’interno della fornace lo si lascia ardere per 30-40 min.
Quando tutta la legna sta bruciando si sigilla lo sportello frontale e la canna fumaria principale.
L’aceto grezzo inizia a percolare dallo sfiato laterale quasi immediatamente.
[ref. Busy, busy, busy…, ref. articolo]
I PRO –
Facilità ed economicità di costruzione: chiunque può costruirsi la propria micro-fornace.
Basso impatto ambientale: si possono utilizzare le potature degli alberi e tutti gli altri arbusti che andrebbero altrimenti tritati per poterli compostare. Se il biochar viene utilizzato come pacciamatura, come addizione al compost o direttamente nel terreno diventa addirittura una pratica a sequestro di carbonio. [ref Biochar]
Plurifunzionalità: si possono ottenere più prodotti, in questo caso aceto di legna e biochar, ma con progetti leggermente diversi i prodotti possono anche essere di più
I CONTRO –
Il fumo – questo tipo di fornace emette molto fumo e per molto tempo (10 – 12 ore), quelle a fiamma “ritorta”, bruciando i gas emessi dalla pirolisi ne emettono molti meno (paragonabili ad un barbeque mentre lo si accende)
La struttura cialtrona – Dopo un’intera notte a “bruciare” è ovviamente collassata, l’ideale sarebbe poter interrare il fusto così da poter sigillare meglio lo sportello garantendo un minor ingresso di ossigeno. Cosa che nel mio caso non ho potuto fare tant’è che la produzione di carbone è stata relativamente bassa…
Ben venuti in Thailandia!
Chiacchere al bancone