Archive for the 'I manuali del giovine autarchico' Category

02
Apr
11

…Svegliatevi bambine… (è primavera)

Di ritorno dalla due giorni di Lasagna Gardening nei dintorni di Verona.
Una scusa come un’altra per viralizzare cambiamenti.
Percorrere la A4 su un autocarro VW dell’82 può essere eterno, soprattutto in una notte piovosa di fine Marzo.
Matteo fa da copilota mentre scorriamo le immagini più vivide che ci trasciniamo verso Ovest:
Dormire nella casa di paglia di Riccardo e Nico.
La vista sulla valle con i suoi boschi di castagni e noci.
Le frequenti digressioni “fuori tema” sulla microbiologia del suolo, la gestione naturale delle acque, il forest gardening, l’agricoltura urbana…
La festa della semina “selvaggia” che si è innescata alla fine della realizzazione dell’orto.
I bambini.

E’ tardi. Il Carro è monolitico nel suo incedere e il tamburellare della pioggia sulla capote stordirebbe anche un bisonte in benzedrina.
Non è un buon periodo per andare in giro a chiacchierare e a fare corsi, con la casa da costruire e le coltivazioni da impiantare, ma alla fine… siamo ancora nella fase “attesa” e può essere sempre una possibilità per innescare cambiamenti. Visti i tempi…

Intanto i lavori “personali” proseguo nel classico clima primaverile composto da frazioni di sole miste a piogge più o meno torrenziali. L’acqua, combinata con una temperatura media di 12°-15° è il tempo migliore per la prossima esplosione vegetale. Mortale per me che mi faccio nuovamente ospitare, a giorni alterni, dalla biblioteca di Ivrea…

In realtà, se non fosse che non amo trovarmi inzuppato, potrei tranquillamente lavorare nell’orto. L’ho già fatto durante l’inverno.
In effetti, per quest’orto, ho applicato una delle mie massime preferite: “le cose si fanno secondo le regole, a meno che non si possa fare diversamente”.

E quindi, eccolo qui il nuovo orto, simile nel concetto di base a quello realizzato a Badia Calavena.
Un mix di lasagna gardening, hugelkultur, biointensivo, agricoltura sinergica e chi più ne ha più ne metta. Giusto per essere scomunicato da qualsiasi “Scuola” agricola si aggiri nel panorama mondiale…
Già ero un permacultore “abusivo”, ora sarò anche un sinergico “abusivo”.
Etichette… ci si stanca in fretta… e le mie idee sulla differenza tra tecnica, progettazione ed ideologia le ho già espresse.

Ci sono due occasioni in cui non applicherei alla lettera l’agricoltura sinergica ma darei spazio a “Variazioni sul Tema”
Il primo è quando la terra è ridotta veramente troppo male ed io non ho il tempo per ricondurre il tutto ad una situazione ideale (si dovrà pur mangiare durante il cantiere).
Il secondo è quando la terra è talmente sana e brulicante di vita che qualsiasi cosa altra dallo sdraiarmi per terra a fare un po’ di cloudspotting, sarebbe una bestemmia.
San Culino, il protettore degli indolenti, ha fatto sì che io ricadessi nella seconda categoria.
L’orto è quindi così composto:

Leggero passaggio per smuovere lo strato di erba del prato.
Spesso strato di cartoni per fermare le spontanee più aggressive e fornire un substrato per lombrichi e funghi
Tronchi di pioppo*
Cippato (dei rami piccoli del pioppo)
Letame di cavallo stagionato (poco… letame. Non la stagionatura…)**
Carbone***

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La griglia che si può vedere nelle foto è un esperimento che sto facendo quindi, per ora, non fateci caso. Ne tratteremo approfonditamente più avanti o a giugno quando torneremo da Riccardo.
Le dimensioni sono leggermente più grandi del normale 1,70 m per 6 m ma credo che i prossimi saranno larghi 1,50… oppure 1,80… non so… devo ancora decidere…
Quello che so è che adesso devo selezionare i ceppi di microorganismi dalla zona circostante per inoculare le pagnotte.

Ma questa è un’altra storia che coinvolgerà del riso, del malto, qualche asse di legno, l’occhio disgustato di Noemi e la speranza dei marmocchi di riuscire a vedere “mostri mucillagginosi”.

In ogni caso, come al solito, non mi sono inventato nulla.
Mi sono limitato a scopiazzare di qui e di là, a mischiare tutto e a trarne la mia personale interpretazione con ciò che trovavo a portata di mano.
Un ringraziamento va al nostro uomo in terra di Francia (Medo) e “Au Petit Colibrì”
Qui e Qui un paio di schemi illustrativi del principio da cui sono partito.
Sono in francese… così Renato non potrà più dire che sono troppo anglofono per i suoi gusti 😉

*Il fatto è che sulla sinistra della casa c’era quest’enorme pioppo di 35 anni. Una sorta di Moby Dick vegetale. Ora, voi immaginate cosa può essere un pioppo che, durante uno dei numerosi temporali estivi e non che battono il piccolo anfiteatro morenico, pompa linfa a 16 metri di altezza mettendo praticamente in comunicazione la falda sottostante con l’elettricità statica nell’aria… il numero di cicatrici da fulmine era lo stesso del succitato leviatano.
S’è optato per l’abbattimento e il riciclo in loco… per chi avesse letto il capolavoro di Melville, la lavorazione è stata molto simile a quella subita dalle balene subito dopo la cattura nel libro… un gran casino di cui non si butta via nulla, circondati non dagli squali ma da migliaia di insetti e funghi pronti a banchettare… e, in effetti, stanno banchettando… mors sua, vita loro…

**Si, lo so, non si dovrebbe fare. Ma avevamo bisogno di parecchia materia organica sia azotata che a base di carbonio ed il panettiere c’ha sto cavallone infernale a due passi dal campo che ancora un po’ se lo porta a dormire a casa… e poi, devo pur decomporli i tronchi.
Mettiamola così: è come fare il pane. Il principio è quello di creare un impasto ricco ed utilizzare il terreno sottostante come lievito… un po’ come quando si aggiunge una cucchiaiata di malto per rinfrescare la pasta madre nella panificazione. Ci vorranno anche ‘sto miliardo di anni prima che tutto si riallinei e ribilanci in maniera perfetta e sana, ma io non ho fretta.

***Per l’esattezza il famoso e famigerato biochar, fatto in una fornace non particolarmente efficiente ma abbastanza ruspante da poter essere abbandonata in un campo senza che nessuno passi e se la porti via. Il carbone non è stato trattato (nessun compostaggio, nessun bagno in compost tea…) come si sarebbe dovuto fare. Infatti, il carbone non trattato, agisce come una spugna sottraendo acqua e nutrienti al terreno ma, in questo caso, si voleva ottenere proprio quel risultato: assorbire l’umidità ed i composti chimici in eccesso diventando nicchia ambientale a lungo termine per funghi, batteri e compagnia bella e scorta per i tempi duri stabilizzando la situazione e devitando percolazioni e dilavamenti vari… Il carbone è stato fatto sempre con il suddetto pioppo che era – è tutt’ora – bello grosso… il ceppo sta diventando la più grossa coltivazione di funghi che abbia mai realizzato. Attualmente ospita 200 spine in legno inoculate.

No, non è per vendicarmi di quelli che mi sono caduti in testa.

Avessi voluto vendicarmi l’avrei venduto per farne carta per la prima pagina de “Il Giornale”…

08
Gen
11

Il Dilemma dell’Onnivoro

Mi guardano.
Tre paia di occhi fissi su di me. In attesa.
Io sono in piedi, dall’altra parte di una tavola che sembra allungarsi ogni secondo che passa.
Anch’io guardo.
Vedo la mia mano che si abbassa, prende la forchetta. Il contatto è leggero tra il pollice, l’indice ed il medio. Quasi dovessi servirmi di una pietanza pregiata. Un po’ come si farebbe in una serata chic per servirsi del caviale. Che poi, siamo sinceri, sa un po’ di pesce morto…
Loro continuano a guardami; iniziano ad abbozzare sorrisetti.
Loro sono Noemi, Cristina e l’amico G. I trecento bambini che affollano normalmente il pavimento sono già a dormire. Forse gli si è voluto evitare uno spettacolo che potrebbe trasformarsi in incresciosa tragedia.
Piano, vedo la mia mano avvicinare i rebbi alla pietanza e sollevarsi verso il mio volto.
Più mi concentro sul gesto più il tavolo sembra allungarsi allontanando in un’oscurità indistinta i tre ghigni dei subdoli “osservatori esterni”.
Nessuno di loro ha voluto affrontare con me il viaggio terminale, nessuno a voluto scontrarsi come me con l’innata paura legata all’assunzione di sostanze sconosciute (per quanto tutti quanti in tenerà età si sia violato più e più orifizi con qualsiasi oggetto e sostanza… ma poi si cresce e si matura una certa diffidenza…)
Bastardi.
Mi hanno abbandonato da solo. Da solo ad assaggiare le uova dei cent’anni fatte in casa.

Si, perché, memore dell’inverno passato, all’inizio dell’autunno mi son detto: “ Quest’inverno le galline smetteranno di fare uova. Adesso ne abbiamo in eccesso. Ci sarà pur un modo per conservarle”.
Va da sé, un modo c’è: Le si fa bollire ben bene e le si mette in salamoia.
Troppo semplice.
Io non voglio un uovo cotto conservato.
Voglio un uovo.
C’è chi le surgela. E già… ma nella nuova casa probabilmente non avremo neanche il frigo (abbiamo scoperto che spesso e volentieri, per noi, diventa solo una cosa in cui inciampare in cucina…)
Per farla breve: mi sono lanciato nella sperimentazione delle uova sotto sale. C’è chi lo fa nella calce… ma non avevo calce a portata di mano e poi mi faceva un po’ impressione.

E’ stupido a pensarci adesso che mi sto mettendo l’uovo in bocca. Ma all’epoca preferivo l’idea di una bella soluzione quasi satura di sale e spezie all’idea della calce.
E ora sono qui, con tre spettatori, che cerco di scoprire se starò male o se sopravviverò al mio esperimento e loro pronti a testimoniare per le generazioni future.
Bastardi.

Ne avevo già parlato della paura che mi assale ogni volta che apro un barattolo di conserve fatto da me (cosa che, irrazionalmente, non mi capita quando apro un barattolo fatto da amici che so vivere tecnicamente in un pollaio con condizioni igieniche degne di uno slum di Pretoria). Credo che abbia a che fare con 30 anni di prodotti confezionati. Eppure, mia madre ha sempre fatto le conserve in casa… bah.
In ogni caso: l’uovo fresco conservato è la mia personale tappa estrema sul percorso dell’onnivoro di Pollaniana memoria
Ricetta per l’uovo in salamoia:
Le misure sono secondo gli standard americani visto che la ricetta l’ho presa da qui e che anni di pratica nei cocktails mi impedisce di comprendere le complicate dinamiche matematiche nascoste nelle misurazioni del sistema italiano.

Ingredienti:
¼ di tazza di sale per 1 tazza di acqua (½ tazza per 2 tazze ecc… ecc…)
Un barattolo di plastica o vetro (meglio vetro) che sia in grado di contenere tutte le uova
1 cucchiaino di spezie (io ho esagerato in aglio per rafforzare l’effetto antibatterico… sigh)

Metodo:
Io ho preso le uova più fresche che avevo e le ho pulite con un panno asciutto.
Pulirle con un panno bagnato può portare allo scioglimento della cuticola protettiva del guscio ed all’infiltrarsi all’interno dell’uovo di ospiti non graditi… lo scopo del gioco è “sigillare” l’uovo.

Ho messo le uova pulite (e non cotte) nel barattolo e preparato la prima tazza di salamoia. Nel caso non fosse bastata a coprire le uova ne avrei preparata un’altra. Ma sono stato fortunato e quindi mi sono limitato ad aggiungere le spezie.
Sopra le uova ho messo uno di quei cosi di plastica che si mettono sopra i crauti o i sott’olio in modo da essere sicuro che le uova rimanessero sommerse.

A quel punto si deve aspettare un mese prima di fare la prova.
Sinner di The Waitakere Redneck’s Kitchen dopo un mese le tira fuori e le conserva in frigo.
Io ammetto di essermele dimenticate in un armadietto in cucina per ben più di un mese…
Così, per aumentare il brivido e dare un po’ più di gusto alle scommesse che Noemi sta raccogliendo tra il gradito pubblico.
Bastardi.

Ho preso l’uovo dal barattolo e l’ho fatto bollire. Si potrebbe utilizzare in altre maniere ma per la prova ho pensato che fosse sufficiente.
Loro mi guardano.
Il boccone “sospetto” mi entra in bocca, la punta della forchetta lo posiziona al centro dell’unico strumento di analisi che mi è rimasto (la prova dell’olfatto aveva dato come risultato “ma quanto aglio hai messo?”).


E’ buono.

Oddio, deve piacere. A me piace. Non sa per nulla di zolfo come mi aspettavo. La consistenza è stramba, tipo: il tuorlo sembra sabbioso mentre il bianco è un po’ flaccido.
Se non fosse che non bevo (ma so abbinare i vini) direi che sono l’accompagnamento perfetto per una serata con gli amici a giocare ad Agricola (possibilmente con l’espansione “contadini della brughiera”) bevendo un bel rosso zeppo di tannini. Oppure leccando direttamente il fondo di una botte in rovere mentre si fanno quattro chiacchere.

Comunque sono vivo e lo rifarò.
Anche se poi si è scoperto che con il nuovo pollaio le galline non hanno mai smesso di fare le uova nonostante le temperature sub-polari e l’assenza totale di riscaldamento e/o illuminazione.
Bastarde.

Ps.- L’uovo delle foto è un uovo di faraona messo sotto sale il 16 luglio e cotto e mangiato oggi 8 gennaio. E’ buono e non è stato in frigo neanche 5 minuti. La faraona che l’aveva deposto è stata portata via dalla volpe a fine agosto. Io e la volpe ringraziamo (anche se io avrei un paio di cosette da dire a quest’ultima).
Ma se la ricetta vi sembra un po’ strana per i vostri gusti o non volete sfidare il dilemma dell’onnivoro… potete sempre andare al supermercato a comprare le uova fresche
di

20
Nov
10

Radicami tutto!

Essere un geek appassionato di progettazione sostenibile ed ecologica crea dei momenti di forte imbarazzo in me ed alle persone che mi circondano.

Potete immaginare la faccia che possono aver fatto Noemi e i vari ospiti che animano casa nostra (fino al prossimo anno siamo 4 adulti e 4 bambini chiusi qui dentro) alla mia reazione dopo aver letto la mail di Marco che ho ricevuto cinque minuti fa.

FINALMENTE TERMINATO IL LAVORO DI TRADUZIONE DEL MANUALE TECNICO DI APPLICAZIONE DELLA TECNOLOGIA VETIVER.
GRAZIE A TUTTI COLORO CHE LO HANNO PAZIENTEMENTE ATTESO, CI SONO VOLUTI QUASI 2 ANNI.

MANUALE TECNICO DI APPLICAZIONE

INVITO TUTTI A DARNE LA MASSIMA DIFFUSIONE.
GRAZIE
MARCO FORTI


Marco Forti
Vetiver Sardegna

www.diariodellacoltivazione.blogspot.com
www.journalontheland.blogspot.com
www.vetiversardegna.it

Piccola nota amara a margine rispetto a questa mia riflessione: Com’è che i manuali veramente in grado di cambiare i Sistemi sono gratis mentre quelli sulla devoluzione e l’orticoltura s’hanno da pagare sempre?
Ops. Forse mi sono risposto da solo….

01
Nov
10

L’educazione del Cialtrone: gli anni verdi dell’infanzia


Immagine recuperata dagli archivi della casa natale da parte del padre dell’autore che, di tanto in tanto, ci tiene a segnalare attraverso comunicazioni private, che il figliolo dava segni di instabilità (oltre che di scarsa conoscenza della lingua) già in giovine età.
(Grazie Babbo!! 😉 )

26
Ott
10

La Gallina di Troia

Ovomobile.jpg

I lavori per la casa sono rimandati a primavera.
Quelli per la nostra casa.

Intanto stiamo organizzando una serie di collocazioni mobili per tutte le bestie e non-bestie che dovranno seguirci nel breve tratto tra “la bassa della Dora Baltea” e “l’alta della Dora Baltea”.
(Mi rendo conto solo ora che continuo a fare su è giù per un fiume e che quel fiume manco è il paludoso e mefitico Eridano… bah… casi della vita… in ogni caso: non ci mancherà mai l’acqua…)

Prendiamo i polli. La loro casa è stata semidistrutta a fine agosto da uno dei tanti e puntuali tornado che spazzano la zona.
A voglia la vecchietta a dire che non serano mai visti. Ormai, qui, devi essere proprio un imbecille per non aver segnato sul calendario almeno due tifoni. Inizio e fine estate. Ma se trent’anni fa non cerano vuol dire che ci vogliono altri 30 anni prima di metabolizzare il cambiamento… si parlava di bollire le rane?
Vabbè.

Distrutta parzialmente la vecchia casa s’è pensato di organizzarne una nuova (e più carina) già pronta per essere adagiata sulle verdi praterie del nuovo OrtodiCarta. Una che si inserisse da subito nel progetto più ampio e che, soprattutto, avesse le stesse dimensioni del cassone del carro e non costasse un’accidente.
Signore e signori…. la Gallina di Troia: un pollo in grado di contenere 13 polli, realizzato al 100% con materiale di scarto (grazie Yvonne, Elena e Luca per la copertura) e dotato di una magnifica coppia di sci Rossignol (grazie Barbara) per poter deambulare sù e giù per i campi.
ChickTrack1.jpgChickTrack2.jpgChickTrack3.jpgChickTrack5.jpgChickTrack7.jpgChickTrack8.jpgChickTrack9.jpg
Riferimenti utili ed interessanti:
Il solito TheCityChicken con i suoi oltre 140 ChickenTractor
La sezione “Pollicoltura” de The Modern Homstead

26
Ago
10

La Rivoluzione è un diesel (parte 2)

Partiamo da un presupposto.

S’era pensato di ritagliare un budget per una macchina a metano ma, fatti due conti, l’ipotesi è finita nello scatolone delle tecnologie “è facile essere sostenibili se si hanno i soldi”.

Quindi abbiamo ripiegato sui due potenti mezzi di cui al post precedente.

Il prezzo finale pagato è stato ridicolo. Spenderò di più in piante e semi.

(Questo dovrebbe dare un’idea di come siamo messi al mondo ma la dissertazione mi porterebbe in un lungo e profondo delirio che vi evito volentieri… potete tirare un sospiro di sollievo…)

I mezzi fanno schifo, puzzano e sono sgangherati. Mi sento a casa.

Ma soprattutto hanno un vantaggio: sono completamente e totalmente hackerabili e, per proprietà transitiva, potenzialmente più ecologici dell’ultimo modello di Prius in commercio.

Niente elettronica, pura meccanica smontabile e rimontabile (a saperlo fare… ma uno impara…). E un motore è pur sempre un motore.

“Si, ma consumano petrolio e derivati ed inquinano come un SUV” dice la vocina noiosa.

Perché siamo in Italia.

Production_of_Biodiesel_Fuel

Image via Wikipedia

Disclaimer (vista l’aria che tira in internet) – Tutte le informazioni che seguiranno sono a puro scopo didattico e di informazione. In nessun caso, ripeto, in nessun caso si propone in questa sede né si proporrà in altre di dedicarsi all’autoproduzione di combustibili per uso personale in maniera più ecologica e sostenibile. Mai. Non lo fate! E’ illegale.

Io vi ho avvertiti.

Poi, in generale la storia dei biocombustibili è, come al solito, un’arma a doppio taglio.

Su scala mondiale è solo l’ultima invenzione finto sostenibile: ettari ed ettari di terra dedicati a coltivare benzina. Se tutti i motori a combustione interna presenti al mondo dovessero funzionare a combustibili derivati dai vegetali credo che potremmo tranquillamente salutare ¾ delle terre emerse…

Quindi, scordatevi di poter mandare avanti il vostro furgone diesel. Primo perché è illegale, secondo perché sarebbe più lo sbattimento di coltivare tutta quella roba che il risultato ottenuto.

In realtà su piccola scala, se si abita negli Stati Uniti o da qualche altra parte, è possibile, in linea ipotetica, distillare il proprio carburante per mandare avanti un motocoltivatore 454mm diesel partendo da materiale vegetale tipo, chessò, qualcosa su cui sto ragionando da un po’, tipo… alghe? Olii di frittura del vicino ristorante cinese?…

Un po’ di attrezzatura da piccolo chimico, un salto al reparto additivi di un magazzino per accessori auto et voilà!

Ma non lo fate… è illegale. Però è interessante… vale la pena saperlo. Poi uno non lo fa, ma sa che esiste il procedimento… Cioè, dai… al cinema vedo compiere migliaia di reati al secondo ma mica divento un pazzo terrorista ipertiroideo. Siamo seri! E’ pura didattica. E poi è pericoloso. C’è la soda caustica (quella che uso tutti gli inverni quando faccio il sapone e che chiunque abbia avuto uno scarico otturato ha già usato in vita sua).

Nonnò. Non fatelo a casa.

Se Dio esiste è un Hacker.

E questi sono i link.

GreenTrust.org (ottimo anche su molte altre fonti di energia)

La ricetta di DancingRabbit (ecovillaggio nel Missouri)

e quella di SchNews (collettivo Inglese)

e, per finire (o iniziare?) la biblioteca di Journey to Forever

Aggiornamento: interessante articolo di TheOilDrum rimbalzato su EnergyBullettin su un esempio di produzione locale, sostenibile ed appropriata di biodiesel e biochar

22
Giu
10

Solstizio d’estate (ha smesso di piovere)

I cambiamenti di vita hanno spesso dei risvolti inattesi.
“Ciao, senti noi: andiamo via per 15 giorni. Abbiamo affittato ‘sta casetta in Sardegna… non è che avresti voglia di tenerci il cane/gatto/canarino e/o bagnare di tanto in tanto le piante?”
Questo era ieri.
“Ciao, senti: noi abbiamo preso ‘sta roulotte del ’74 ad un buon prezzo, pensavamo di partire per i Pirenei francesi e magari fare tappa a Souscaryous o da quelle parti. Abbiamo un paio di amici che vivono in un ecovillaggio la in zona… non è che hai dello spazio per tenerci il forno solare/7 kili di farina di farro/gli accumulatori del fotovoltaico/la collezione di semi raccolta negli ultimi 7 anni e/o mantenere in vita la pasta madre/la kombucha/il kefyr?”
Questo è oggi.

Ieri avrei avuto un equo scambio di un xx-sitteraggio qualsiasi.
Oggi, approfittandone di una delle prime giornate di sole estivo da un po’ di tempo a questa parte, ne approfitto per farmi il pane gratis.
Non amo particolarmente la tecnologia dei forni solari.
Credo siano più interessanti come “didattica” che non come sistema di cottura dei cibi quello di G., poi, ha anche dei costi notevoli come realizzazione.
Ma… ce l’hai parcheggiato in magazzino… non lo vuoi usare?

Il forno di G. e molti altri modelli più semplici ed economici (ma meno efficienti. Con il “fiore” si raggiungono i 280°-300° in tempi estremamente ridotti, con le “scatole” in materiale di recupero i 180°-200° con tempi più lunghi… ovviamente… qui al nord!) li trovate qui

26
Mag
10

Peperoni sulla Torre Velasca

Quando andammo con Rizomi a Venezia assemblammo una piccola Guida-Fai-da-Te che raccogliesse un po’ delle tecniche e degli esperimenti che abbiamo portato avanti…
Questo piccolo prodotto del nostro ingegno (altrettanto piccolo) è stato portato in giro più e più volte. Approfittando della visita a Milano abbiamo deciso di fare che metterlo on line…
Lo trovate dall’altra parte facendo click sull’immagine.

e ‘sta volta il titolo è rubato a meristemi… mi veniva più facile con i numeri

17
Mag
10

Materiali per piccoli apicoltori naturali

In onore dei nuovi bien (termine tedesco che indica l’unità tra arnia, favi ed api) traduco, di seconda mano, e pubblico un’interessante articolo di Johann Thur sulla ritenzione dell’atmosfera e del calore interno all’arnia. Una delle basi dell’apicoltura naturale.
Thur descrive l’arnia Christ molto simile alle Warré che utilizzo anch’io e critica pesantemente l’introduzione delle arnie a telaino removibile (l’articolo risale più o meno al ’45 – traduzione originale di David Heaf)

02
Apr
10

Hacking GATTACA (organismi mentalmente modificati 2)


immagine tratta da: BibleCode (a dimostrazione che ogni teoria è possibile…)

Questo rischia, nuovamente, di essere un post chilometrico. Quindi, come giustamente mi suggerisce Equipaje, cercherò di stare entro i limiti della decenza… forse.
Facciamo così… se non avete voglia di leggere potete saltare il tutto ed andare al “riassunto” alla fine…

Prima di iniziare vorrei ringraziare tutti coloro che hanno partecipato direttamente o indirettamente al post precedente sopportando gli avvitamenti e le provocazioni.
Il problema è che non sempre è sufficiente un rifiuto. Per cercare nuove strade sto provando a fare equilibrismo su un rasoio.
Pronti?
Andiamo…

Parafrasando e citando un post di Maggie Koerth-Baker, apparso su Boing-Boing, una delle Direttive Primarie di Star Trek cita: “Non ti impicciare negli affari di pianeti meno avanzati tecnologicamente del tuo”.
Per quanto possa sembrare assurdo la NASA ed i vari enti spaziali sono avanti anni luce rispetto a qualsiasi burocrazia terrestre sui protocolli da mantenere per evitare contaminazioni vicendevoli Terra vs. Resto dell’Universo.
Dal 1967 è infatti operativo l’OPP, Office of Planetary Protection (Ufficio per la Protezione Planetaria) i cui scopi principali sono quelli di studiare protocolli che evitino la propagazione nell’universo di contaminanti terrestri (pensa che fregatura viaggiare per un centinaio di anni nello spazio profondo per trovarti a studiare l’influenza suina nell’orbita di plutone…) e viceversa.
Nulla di tutto ciò è mai stato pensato ed organizzato per la Terra… dove, sicuramente c’è più vita (almeno il sabato sera) e, se rispondiamo positivamente alla domanda di Carl Sagan “Se su marte ci fosse vita ma solo in forma microbica, marte apparterrebbe ai marziani?”, la terra ci appartiene? Possiamo farne un po’ ciò che vogliamo o e solo un’enorme condominio?
Ecco, gli OGM mi stanno un po’ sul culo per questo… sono figli di una cultura che ha preso atto di aver già devastato un sacco di cose per cui tanto vale continuare ad ignorare il famoso 75% di funghi sconosciuti (e più in generale le potenzialità della biodiversità esistente) e continuare a costruire sugli errori le soluzioni per risolvere gli errori stessi. (non so perché ma questo discorso mi fa sempre venire in mente un cane che si lecca il buco del culo… tanto per dimostrare che gli avvitamenti non sono merce rara)

Ma qui, tanto per cambiare, siamo sui principi etici. Se avessimo risposto “Balle! Atomizzate i fottuti microbi e prendete Marte!”, posizione personalmente non condivisibile ma lecita (“Non sono d’accordo con le tue idee ma mi batterò perché tu le possa esprimere”… mai che Voltaire si faccia i cazzi suoi!), si sarebbe dovuti andare ai voti con risultati incerti.

Ma se c’è una cosa grandiosa nella natura è che questa è Open Source.
Come ben dice Ste di Vogliaditerra: “Qualcuno magari potrebbe pensare che il contadino produce del cibo, ma questo non è così.
Il contadino si prende cura della terra e del paesaggio, governa gli animali e si occupa degli ulivi e delle viti e se ne esce del cibo è solo un effetto collaterale anche se ben gradito”. Ciò che Ste lascia, giustamente, implicito è che ciò che fa è strettamente legato alle leggi “fisiche” e “metafisiche” (soprattutto nel caso di Ste 😉 ) della natura.
Bene… io sono più bravo sul piano fisico. Non perché non riconosca o non mi appartenga il piano metafisico, semplicemente, sarebbe complesso per me stare dietro ad entrambi.
Ciò che è incredibile e che Ste è un fine genetista e, con lui, chiunque abbia coltivato o deciso di mangiare una bacca piuttosto di un’altra negli ultimi 7000 anni determinando la sopravvivenza della prima e condannando la seconda (la data è sparata a caso… non mi fate i pignoli).
Dopo 4 anni di orto, i semi religiosamente salvati dei miei fagioli stanno intraprendendo un viaggio di adattamento genetico alle condizioni pedo-climatiche e biologiche della piana alluvionale della Dora. La signora Pina che non ama i broccoli e al Super compra solo i pomodori (anche a dicembre) unita alle altre migliaia di signore Pine sta permettendo al pomodoro costoluto di sopravvivere a discapito di qualsiasi altra pianta preservandone ed ampliandone il patrimonio genetico.
Siamo tutti dei fottuti genetisti. Siamo, volenti o nolenti, l’anello più alto (anche solo per numero e voracità) della catena alimentare, la selezione genetica fa parte del nostro bagaglio di sopravvivenza.

Ecco. Questa è la seconda cosa che mi fa incazzare degli OGM.
Non sono Open Source.
Il mercato degli OGM prende una minima porzione di natura, la vincola, la brevetta e la toglie dalla riproducibilità e modificabilità orizzontale tipica della natura stessa.
(Ma non al 100%… i casi di OGM “scappati” al controllo della Bayer ne sono una dimostrazione)
Non bastavano le leggi del mercato e della grande distribuzione a “condizionare” la nostra sovranità alimentare. Adesso la registrano e la bloccano legalmente…
La cosa era già successa con gli F1 e le qualità ibride, quindi, di per sé, non dovrebbe essere un gran problema ma le tecnologie, in quel caso, erano relativamente semplici. Un paio di libri specifici e chiunque può creare i propri F1.
Per ciò che riguarda gli OGM, no. La lavorazione è più “sottile”, le possibilità di ibridazione pressoché infinite.
Ma soprattutto è possibile ammantarli di un alone di scienza “misterica”.
Ed è qui che scattano i meccanismi più deleteri della comunicazione. La scienza degli “stregoni” crea fascinazione e/o odio. Da una parte il “zitti voi che non potete capire” dei promoter OGM, dall’altra il rifiuto totale di qualsiasi confronto perché si tratta di “aberrazione scientifica”.
In realtà è un problema di conoscenza.
Il mercato degli OGM è (scusate la ripetizione) un mercato a “tecnologia proprietaria” come i software Microsoft, come gli album di Lady Gaga. Niente di più. Solo l’ultimo arrivato in ordine di apparizione e, essendo l’ultimo arrivato e direttamente collegato alla sovranità alimentare, il più aggressivo.

Idealmente non c’è molta differenza tra la ricombinazione del DNA ed il software.
Entrambi fanno riferimento ad una sintassi e ad un’alfabeto preciso, li ricombinano in codici e ottengono un risultato.
Ma sopratutto, entrambi sono crackabili, come qualsiasi codice. (La difesa degli stessi determina spesso la “violenza” di alcune Major)
In ipotesi, così come l’industria degli audiovisivi inciampa e fatica non riuscendo a trovare soluzioni efficaci alle nuove tecnologie “hacker”, anche l’industria OGM potrebbe essere messa alle corde attraverso gli stessi sistemi. Roba impossibile da esperti genetisti dotati di macchinari avveneristici? Un po’ si… ma non troppo… come ben sostengono anche i ricercatori: “capita in continuazione anche in natura…”

Partiamo da un presupposto: il DNA non è la molecola di Dio. Non è questione di fede o filosofia. La famosa doppia elica, per quanto esclusivamente la raffigurazione di una astrazione matematica, è parte della natura (open source). E’ qualcosa di fisico, come un sasso, una foglia, la tastiera su cui sto scrivendo.
Estrarre il DNA da una fragola, da una banana o vedere ciò che determina il fatto che voi siate alti, bassi, con il naso adunco o a patata, biondi o bruni è un giochetto da ragazzi che da anni viene fatto nei laboratori scolastici alle elementari.
Ok. Ciò che ottenete è una pappetta mucillaginosa che in nulla assomiglia alle spettacolari rappresentazioni di GATTACA ma, intanto, avrete avuto la possibilità di capire che si sta parlando di materia e non di essenze astratte, di idee platoniche.
Se vedete fisicamente il DNA, magari le ombre fuori dalla grotta diventano un po’ meno paurose. E se qualcosa non fa paura, il confronto è sicuramente più efficace.

Occhio, non saltate a conclusioni affrettate: non ho nessuna intenzione di proporre l’OGM autodafé… sto cercando di scardinarne il sistema (forse perdendomici dentro).
Ma non sarà con una pappetta che si spaventerà la Monsanto o la Syngenta.
In fondo la pappetta non è il codice.

Ok. Questo è un passo un po’ più evoluto rispetto al semplice frullare una banana in acqua salata con 2 gocce di detersivo (questo in breve è il sistema per estrarre il dna… poi scriverò le istruzioni complete…) ed è ancora molto lontano dal codice ricercato.
Con 6 batterie da 9 volt, una scatoletta di plastica e del gel di Agar potete “fotografare” l’impronta “digitale” del DNA. (Poi do le istruzioni anche di questo… in ogni caso trovate tutte le informazioni su MAKE magazine vol.7 di Agosto 2006) e qui, ci stiamo andando più vicino. Quantomeno siamo in grado di riconoscere del DNA vegetale da del DNA umano e (se siete molto bravi) anche tra varie specie vegetali…

Ma ancora. Siamo solo ai giochi propedeutici per la riappropriazione di qualcosa che appartiene a tutti, non solo al Mercato OGM o ad un gruppo di ricercatori.
Si. Mi spiace. I ricercatori possono essere persone stupende quando la smettono di vedere tutti i problemi come chiodi solo perché hanno un martello in mano… ma non è un problema che riguarda solo loro… E’ che “la specializzazione è per gli insetti” non per gli uomini…
Le società che producono OGM fanno affidamento sulla tecnologia.
La tecnologia ha un pessimo difetto: diventa obsoleta e si deprezza velocemente. Macchine avveniristiche in grado di sequenziare e leggere il DNA che fino a pochi mesi fa erano inimmaginabili stanno diventando velocemente abbordabili da chiunque (il che ha sfumature inquietanti… ma anche la nitroglicerina di Nobel…). Ma non solo, i software per “giocare” ricombinando i codici a proprio piacimento sono ormai disponibili sul mercato da parecchio tempo.
Immaginate cosa potrebbe accadere se qualcuno decidesse di mettere online tutte le sequenze genetiche fin qui “tracciate”….
Non fatevi cogliere dagli incubi. Pensate a quando venne pubblicato open source il genoma della phytophthora infestant o di alcuni virus epidemici dando a milioni di ricercatori la possibilità di lavorarci sopra. Ci sono delle potenzialità, non ultima, l’ipotesi “hacker” di affondare nell’inutilità economica il businness degli OGM.
OpenWetware persegue, in parte, quest’ipotesi.

D’altro canto, salvando alcune pregevoli scoperte collegate alla sequenziazione del DNA, gli OGM di per sé, come tecnologia proprietaria non reggono. Se lo fanno è solo perché dietro ci sono politiche economiche e di interesse.
No, niente teoria del complotto rettiliana neanche sta volta.

Il DNA è una gran cosa, la possibilità di leggerlo, interpretarlo, preservarlo, sono opportunità aperte a 360° gradi. Dalla preservazione della biodiversità e delle antiche qualità di sementi alla creazione di un simpatico leone con testa ed ali da falco (che, in ogni caso, nascerebbe morto…).
Ma gli OGM non sono l’agricoltura.
Sono un prodotto. Come un TostaPane.
No. Non è vero. Quando compro un TostaPane quello mi appartiene, posso farne ciò che mi pare, il mais bt no. Lo pago ma non mi appartiene.
Gli OGM non sono l’agricoltura.
Sono un prodotto. Come l’ultimo album di Lady Gaga.

Non puoi copiarlo.
ed è opinabile dal punto di vista del gusto…

RIASSUNTO.
Studiare, modificare e creare in maniera responsabile organismi il cui dna venga ricombinato non è di per se un’eresia. Pensare che siano un prodotto commerciale spacciabile come la soluzione dei problemi del mondo è idiota come pensare che l’Hummer sia la soluzione alla mobilità urbana ed all’inquinamento.
Temo che alcuni siano rimasti delusi dalla seconda puntata 😉
Ma qua, siamo in grado di buttare in vacca anche l’immacolata concezione.




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